martedì 11 dicembre 2018

Corriere 11.12.18
Migranti, il global compact
serve a non rimanere soli
di Goffredo Buccini


Alla fine la nostra sedia è rimasta vuota. Il dibattito sul Global Compact per le migrazioni, oggetto della conferenza intergovernativa dell’Onu ieri e oggi a Marrakech, è scivolato su una china faziosa dalla quale il più danneggiato può essere proprio il nostro Paese tra i 15 contrari (contro 164 favorevoli).
Matteo Salvini, ormai vero azionista di maggioranza del governo, ha smentito Giuseppe Conte e cancellato su due piedi gli impegni da lui presi davanti all’intero consesso internazionale poche settimane prima, con un doppio no: no alla nostra partecipazione al summit e soprattutto no alla firma del documento che sancisce l’accordo. Sulla firma, certo, la decisione definitiva dovrebbe toccare al nostro Parlamento, così almeno ha specificato Conte: «Marrakech non sarà l’ultima occasione per esprimere una nostra valutazione». Il Global Compact, passato ieri per acclamazione, dovrà essere infatti ratificato dal voto dell’Assemblea generale Onu il 19 dicembre. Ma è lecito dubitare che il nostro Parlamento, sotto manovra economica, torni a occuparsene prima d’allora, restando così quest’ipotesi solo un comprensibile tentativo del premier di salvare almeno un’oncia di prestigio personale (s’era pronunciato con convinzione per il sì, promettendo l’appoggio italiano all’Onu lo scorso 26 settembre). Ove mai arrivasse in tempo utile, non è difficile immaginare quale sarà il responso parlamentare: i Cinque Stelle, pur tentati da uno strappo clamoroso, si sono sempre accodati alla Lega in tema di migranti.
Il problema è che in questa giravolta, comunicata bruscamente da Salvini nell’aula di Montecitorio, si vede assai poco di quel buonsenso e di quel pragmatismo «popolano» che il leader leghista ama attribuire alle proprie decisioni. E questa decisione, per quanto prevedibile nel suo portato simbolico, meritava un supplemento di cautela poiché, così, appare dettata in toto dall’ideologismo e — per restare pragmatici — pregiudicherà non poco la nostra posizione internazionale.
Sull’accordo intergovernativo volto a costruire una piattaforma mondiale condivisa per la grande questione migratoria, sono state diffuse almeno due notizie non vere.
Programma
Gli obiettivi sostenuti sono la ripartizione,
il rimpatrio e la difesa comune delle frontiere
La prima, che ci vincoli a fare qualcosa, ovvero che intacchi la sovranità nazionale in tema di migrazioni. Come chiarito dal ministro Moavero a domanda di Giorgia Meloni, il Global Compact non è vincolante, (articolo 7 del preambolo, «non-legally binding»), e «sostiene la sovranità degli Stati» (medesimo articolo), pur rammentando un banale dato di fatto: non c’è Stato che possa cavarsela senza aiuto in questa prova epocale. Se davvero, come prevedono gli studiosi delle migrazioni di massa, nei prossimi quattro decenni dovremo farci carico di un miliardo di sfollati, è palese che nessuno si salverà da solo (e noi meno di altri, coi nostri settemila chilometri di coste). La seconda inesattezza è affermare che il documento internazionale metta rifugiati e migranti economici sullo stesso piano. All’articolo 4 le due categorie hanno ovviamente stessi diritti umani universali ma sono «gruppi distinti regolati da sistemi legali differenti».
Certo, ci sono nel testo enunciazioni di pura solidarietà, richiami a dialogo, cooperazione, dignità delle persone, ma siccome è assai difficile schierarsi contro principi così ovvi (sarebbe come confessare l’odio per Babbo Natale) si manda la palla in tribuna. Possono esserci, sì, passaggi precisi che stridono con la linea del governo gialloverde: percorsi per l’immigrazione regolare, impegno a salvare i migranti in pericolo... ma a nulla di questo fa riferimento Salvini. Chi può, del resto, schierarsi apertamente contro l’immigrazione regolare (serve alla nostra economia e agli imprenditori del Nord, elettori leghisti) o ergersi pubblicamente contro i salvataggi di vite umane? Il cortocircuito è evidente.
Il Global Compact riafferma piuttosto concetti che potrebbero tradursi per noi in un supporto prezioso nei contenziosi con i nostri partner europei: in primis la ripartizione dei migranti, il loro rimpatrio e la difesa comune delle frontiere. Appare assai singolare battersi in Europa, sostenendo (non a torto) che siamo stati lasciati troppo soli sull’immigrazione, e poi rifiutarsi di sedere in un consesso internazionale come Marrakech, dove si è discusso appunto di come non restare più soli (e dove si sarebbero potute ribadire le nostre buone ragioni), allineandosi infine al gruppo di Visegrád che è sempre stato il più ostile contro di noi nella redistribuzione dei profughi. Questa contraddizione può costare cara all’Italia da qui ai prossimi anni: punendone l’incapacità di spingere lo sguardo appena oltre i prossimi mesi (e le prossime elezioni).