martedì 11 dicembre 2018

Corriere 11.12.18
Gli inganni del sapere
L’iniziativa Parte oggi un ciclo di incontri organizzati da Fondazione Feltrinelli con Eni, dedicati al valore delle competenze in diversi campi. Un filosofo spiega perché la condivisione continua dei dati genera (paradossalmente) conflitti
di Ermanno Bencivenga


la rete diffonde una conoscenza finta
quella vera richiede fatica (e ascolto)
Platone e Aristotele hanno posto il problema di un sistema politico, uno Stato, che fosse uno solo di nome ma che di fatto risultasse da un conflitto inesauribile fra interessi e gruppi contrapposti. Si sono chiesti come conciliare le divisioni e hanno risposto in modo diverso. Platone ha invitato a distruggere le famiglie biologiche per ricostituire lo Stato come una grande famiglia; Aristotele ha teorizzato la philía — il reciproco, consapevole volersi bene — come sentimento unificante.
Se pure rifiutiamo gli Stati ideali dei grandi filosofi greci, rimane vero che una comunità sarà tanto più stabile e funzionale quanto più sarà esente da conflitti: quanto meno i diversi si balcanizzeranno in gruppi reciprocamente sospettosi e ostili che preferiscono la rovina degli avversari a un successo comune. Non c’è bisogno di guardare all’Italietta dei populismi di ogni colore per rendersi conto del rischio; i cosiddetti Stati Uniti sono sotto gli occhi di tutti come emblema di divisione — di un regime condannato all’immobilismo e alla rissa perpetua dalla sua incapacità assoluta di comunicare, di mettere in comune qualsiasi scopo, percorso o decisione.
Come sfuggire a questo obbrobrio? Una risposta plausibile è: con la conoscenza. Più si conoscerà il diverso, meno se ne avrà paura. Una distribuzione ampia e capillare della conoscenza sembra essenziale per una buona politica e, avendo raggiunto tale responso, potremmo congratularci con noi stessi perché la distribuzione è già in corso: la fornisce a modico prezzo la Rete.
Ma la gioia avrà vita breve, quando osserveremo che la spaventosa efficienza della Rete nel raccogliere e disseminare informazioni è andata di pari passo con il degrado della vita politica che lamentavamo poc’anzi. Dove abbiamo sbagliato? Per rispondere, analizziamo il concetto di conoscenza. È un concetto ambiguo. Esiste una conoscenza proposizionale — in inglese, know that — in cui quel che si conosce è il contenuto, il significato di una proposizione, generalmente chiamato un fatto o un dato. Ed esiste una conoscenza operativa — in inglese, know how — in cui quel che si conosce è una pratica, un modo di agire.
La velocità
e l’efficienza del web rubano il tempo alla messa in comune
di strategie, esperienze
e pensiero
La conoscenza che si è affermata nel mondo contemporaneo, e nella Rete, è proposizionale. È una conoscenza eminentemente trasmissibile, perché astratta: non occupa lo spaziotempo ed è disponibile a essere fruita in qualsiasi momento, dovunque uno sia. La conoscenza operativa, invece, può essere trasmessa solo con fatica. Supponiamo che tu sappia ballare il tango e voglia trasmettere questa conoscenza a me. Perché ciò accada, saranno necessarie numerose e coscienziose lezioni in cui mi mostri concretamente come muovermi e mi segui mentre cerco di imitarti, correggendomi con pazienza se sbaglio. Qual è, delle due, la conoscenza che può meglio contribuire a una buona politica?
Abbiamo detto che una comunità sarà tanto più stabile e funzionale quanto meno la diversità dei cittadini si manifesterà come conflitto. Pensiamo a quando la conoscenza ottiene un risultato simile. È quando si comincia a conoscersi, come persone: incontrarsi e collaborare a un progetto e imparare l’una le tecniche dell’altra come si imparerebbe a ballare il tango. È la conoscenza operativa che smussa i conflitti. Io posso sapere proposizionalmente ogni dettaglio di un mio simile e non essere mosso ad aiutarlo perché le parole che leggo o ascolto non accendono nessuna scintilla di umanità dentro di me, quale potrebbe accendersi se gli stringessi la mano.
La Rete va dunque nella direzione sbagliata, se libertà, responsabilità e consapevolezza individuali, e unità e stabilità dello Stato sono i nostri obiettivi. Non dovremmo stupirci se, di pari passo con l’avanzamento verso una condivisione totale di dati, imperversano l’egoismo, la xenofobia, la violenza. Dovremmo anzi inquietarci quando notiamo che la velocità e l’efficienza della Rete rubano il tempo alla messa in comune di strategie ed esperienze e anche, come ho spiegato nel mio La scomparsa del pensiero, al ragionamento, alla riflessione, al pensiero appunto. Che, in tal senso, la Rete è non solo un concorrente, ma pure un nemico.