Ritorno alla “Teoria del valore”?
Il Fatto 25.11.18
Una intervista a Mariana Mazzucato
“Per far ripartire la crescita serve un nuovo Iri”
Nel nuovo libro l’economista contesta l’idea che lo Stato debba solo agevolare i privati
di Stefano Feltri
“Le
femministe ci avevano già spiegato tutto sul Pil: non diamo un valore
alle cose che non paghiamo, come la cura agli anziani o ai bambini e se
sposi la colf, il Pil scende perché prima c’era uno scambio economico
che stava creando valore, con un prezzo, mentre dopo no”. Mariana
Mazzucato, romana di nascita ma britannica per carriera, insegna a Ucl
(University college of London) ed è consulente del governo scozzese
oltre che della Commissione europea, ha appena pubblicato un nuovo
libro: Il valore di tutto (Laterza). Che ha uno scopo ambizioso:
riaprire un dibattito che era cruciale agli albori della teoria
economica, con Adam Smith, David Ricardo, Karl Marx: chi genera valore e
chi lo sottrae? Quali sono i soggetti che si limitano a vivere di
rendite parassitarie, e quindi vanno combattuti anche con politiche
pubbliche, e quali quelli che invece vanno incentivati perché producono
innovazione, crescita e benessere? Tra gli economisti ha prevalso l’idea
che è solo il prezzo che conta: se c’è qualcuno disposto a pagarlo,
allora è una buona misura del valore.
Professoressa Mazzucato, che conseguenze concrete ha scegliere una certa teoria del valore?
Se prevale la teoria del valore secondo cui tutto il valore è prodotto dalle imprese, il governo rinuncerà ad avere un ruolo.
E questo è sbagliato?
Negli
ultimi 200 anni le innovazioni sono state determinate dalle interazioni
tra pubblico e privato, tra legislatore, sindacati e imprese che hanno
co-creato il contesto dello sviluppo. Invece ora il governo si limita a
chiedere all’impresa: “Di cosa hai bisogno? Sussidi? Incentivi”.
In Italia però lo Stato non riesce a trattare da pari con i privati. Lo abbiamo visto nel caso delle autostrade.
Ci
vogliono idee chiare, competenze e a una visione forte del settore
pubblico che stabilisce dove si deve andare. Non basta portare il
privato in un settore regolato per avere miglioramenti.
In Italia, Stato è sinonimo di burocrazia e interferenze in economia.
Se
siamo vittima di una teoria del valore che nega il valore creato dal
pubblico, è inutile fare investimenti e produrre nuove competenze nel
personale statale. Se al pubblico lasci compiti burocratici, gli statali
diventeranno burocrati.
Si parla molto di un ruolo più attivo della Cassa depositi e prestiti.
In
Scozia abbiamo detto subito alla premier Nicola Sturgeon: non fare come
la Cassa depositi e prestiti che si limita a dare sussidi e garanzie di
Stato o aiuta a industrie e settori che non fanno sforzi per
riprendersi. Serve invece una logica “mission oriented” per una banca
d’investimenti pubblica: lo Stato deve dare capitale a lungo termine,
per investimenti ad alto rischio, a organizzazioni che sono disponibili a
innovare nella direzione indicata dallo Stato. In Germania il settore
dell’acciaio si è detto disponibile a migliorare il proprio impatto
ambientale e lo Stato, che voleva ridurre le emissioni di anidride
carbonica, con Kfw, la loro banca pubblica, ha finanziato la
transizione. L’Italia ha dimostrato di saper fare altrettanto bene con
la prima versione dell’Iri, nel dopoguerra. Bisogna tornare a quello
spirito.
Per qualche settimana il suo nome è stato associato al Movimento Cinque Stelle.
Ho
partecipato a una loro conferenza, a condizione che non fosse un evento
di partito. E invece poi mi sono trovata sui giornali come futuro
ministro, cosa che ho subito smentito. Ma in quella fase i Cinque Stelle
parlavano di nuovi piani industriali, nuovo ruolo per la Cassa depositi
e prestiti. Poi sui temi più delicati non hanno mai preso una
posizione. E il dialogo sugli investimenti si è fermato.
Le piace il reddito di cittadinanza?
In
Italia viene visto come soltanto per i disoccupati. Sembra quasi
un’altra forma di cassa integrazione. Il vero problema dell’Italia non è
dal lato della redistribuzione, ma da quello degli investimenti. I
programmi di assistenza devono svilupparsi a margine di un programma più
ampio che serve a creare nuova ricchezza da redistribuire.