martedì 27 novembre 2018

Repubblica Salute 27.11.18
L’allarme
Depressione Che paura la vita
Quasi tre milioni di italiani. Vittime dell’umor nero. Ma guarire si può Se si scelgono le terapie giuste
Quando vince la paura di vivere
di Valeria Pini


Ne soffrono tre milioni di italiani. Ma meno del 20% si cura Colpa dello stigma sociale. Dei servizi che non ci sono E soprattutto della convinzione di non essere malati U n solo errore in tanti anni di carriera. Un dettaglio che diventa un’ossessione, un pensiero costante. La sensazione di non farcela, la perdita di interesse per le cose. Per Maria, magistrato, 56 anni, la depressione è iniziata così. Un percorso doloroso durato più di due anni. Ci si ammala per un fallimento, ma anche per un successo, come è accaduto a Franco, 60 anni, direttore di banca, che è andato in crisi dopo una promozione e la paura di un incarico di maggiore responsabilità. Ma anche se le cure ci sono, in Italia solo il 17% dei pazienti segue il percorso giusto verso la guarigione. Nella maggior parte dei casi i malati continuano a soffrire, quasi prigionieri di una nebbia che li isola dal mondo. Sono alcuni dei dati emersi da uno studio dell’Organizzazione mondiale della sanità ( Oms), presentati al congresso nazionale della Società italiana di psichiatria (Sip) di Torino.
«Ancora oggi una percentuale molto alta di persone non si cura — spiega Bernardo Carpiniello, direttore della Clinica psichiatrica dell’Azienda ospedaliera universitaria di Cagliari, già presidente Sip — perché la depressione non viene percepita, anche quando è evidente, come patologia da curare. Quando ci si rende conto del bisogno di essere aiutati spesso non si ricevono le cure più adeguate al caso, col risultato che solo una minoranza di chi avrebbe bisogno di terapie risulta adeguatamente curata».
C’è chi non ha la forza di affrontare un lutto, una separazione, un trasloco, la perdita del lavoro o un cambiamento inaspettato. A volte, anche se apparentemente tutto va bene, mancano le energie, ci si sente fiacchi. Tutto quello che fino a poco prima sembrava semplice si complica. Oggi un paziente che si ammala di depressione maggiore, la forma più diffusa, ha sette possibilità su 10 di guarire, se segue cure mirate. Si parla in tutto di 2,8 milioni di persone, fra le quali aumentano le categorie più fragili, anziani e adolescenti, ma anche persone senza lavoro. Si tratta in misura maggiore di donne, le più esposte, quasi il doppio degli uomini.
Il male di vivere però sembra in parte ignorato, come lo sono tanti malati che preferiscono nascondersi perché ancora oggi il disagio mentale è avvolto da un forte stigma. Solo il 3,5% del budget della sanità pubblica italiana è destinato a questo settore, rispetto al 10- 15% di media di altri paesi europei come Francia, Germania, Spagna, Regno Unito.
«In questi 40 anni in Italia è stata creata una vasta e capillare rete di strutture psichiatriche — spiega Enrico Zanalda, neo eletto presidente della Sip — che garantisce ogni anno assistenza a oltre 800 mila persone, grazie all’impegno di circa 30 mila operatori. Il personale — ancora poco numeroso — è la vera risorsa in questo settore che si fonda sulla relazione con il paziente. Lo standard minimo, quello di un operatore dei servizi di salute mentale ogni 1500 abitanti non è stato raggiunto nella maggior parte delle regioni, che in media hanno il 25-50% di dipendenti in meno » . Negli ospedali e negli ambulatori pubblici i medici combattono con poche risorse. Una manciata di minuti per affrontare un caso e ricostruire la storia di una persona. Un problema, visto che il rapporto fra medico e paziente è fondamentale per l’adesione alle terapie, soprattutto nelle malattie psichiatriche. Nei casi di depressione maggiore, ad esempio, va seguita un’adeguata psicoterapia con incontri frequenti e approfonditi, accompagnata, quando necessario, dalle cure farmacologiche.
« Ma se nei centri pubblici lo psichiatra o lo psicologo ha a disposizione solo 10 minuti per paziente è difficile creare quella relazione che porta alla guarigione — aggiunge Carpiniello — così come è complicato seguire passo dopo passo la cura farmacologica. E non è raro il fenomeno del fai- da- te, un rischio per la salute. Soprattutto in caso di sospensione improvvisa, che può portare a sintomi psichici e fisici».
La maggior parte delle persone finisce così per rivolgersi a un ambulatorio privato e solo il 40% dei pazienti è in cura presso il Servizio sanitario nazionale. Questo quando si decide di curarsi e di rivolgersi a uno specialista. Perché spesso i pazienti non ammettono di essere malati. Nei casi estremi, il rischio può essere il suicidio. « In molti non percepiscono la malattia, per questo in media servono due anni per arrivare alla diagnosi. E quando si incomincia tardi — commenta Claudio Mencacci, direttore del dipartimento di Neuroscienze dell’ospedale Fatebenefratelli- Sacco di Milano — tutto è più difficile. Dei pochi pazienti che iniziano il trattamento, meno della metà lo segue nel modo giusto per tempi e dosi. Ma è importante curarsi bene per prevenire episodi successivi. Le ricadute sono frequenti. Chi ha sofferto di depressione maggiore ha il 50% di possibilità in più di ammalarsi di nuovo. E dopo un secondo episodio il 90% di probabilità di averne altri».