Repubblica Roma 10.11.18
“Niente comunità” Il no del giudice che segnò Desirée
di Maria Elena Vincenzi
La
richiesta dei familiari bocciata dal magistrato minorile appena tre
giorni prima della morte nel cantiere abbandonato nel cuore di San
Lorenzo
Doveva andare in comunità Desirée. E magari si sarebbe
salvata. Ma il tribunale dei Minori, pochi giorni prima che la sedicenne
morisse in un immobile abbandonato di San Lorenzo, aveva detto che non
c’era urgenza, che quella pratica poteva attendere. Il pubblico
ministero, su istanza della famiglia e dei servizi sociali ( Desirèe era
stata fermata con della droga all’inizio di ottobre) aveva chiesto il
ricovero presso una struttura. Ma il giudice aveva detto di no.
Ieri
mattina si è celebrata l’udienza davanti al tribunale del Riesame di
Chima Alinno, il nigeriano accusato, insieme ad altri tre africani, di
aver drogato, violentato e ucciso la sedicenne Desirè Mariottini. I
giudici, che nei prossimi giorni dovranno valutare anche le posizioni di
altri due ( i senegalesi Mamadou Gara e Brian Minteh), si sono
riservati e decideranno nelle prossime ore.
Per dare forza al
quadro probatorio, il procuratore aggiunto Maria Monteleone e il
sostituto Stefano Pizza che hanno coordinato le indagini, hanno
depositato una serie di atti, tra cui anche alcune intercettazioni nelle
quali i testimoni, in attesa di essere sentiti in questura, parlano tra
di loro di quella notte, tra il 18 e il 19 ottobre. Conversazioni non
sempre lineari: tutti i frequentatori dello stabile di via dei Lucani
erano tossicodipendenti, ma in alcuni casi importati per le indagini.
«Quella ragazzina - dice a un certo punto una di loro, Noemi Cometto-
chiamava aiuto con l’anima, ve lo dico io». Alcune delle ragazze
raccontano che Desirée aveva raccontato di avere quasi 18 anni. A un
certo punto, sempre Noemi, viene registrata mentre racconta, annotano
gli agenti della mobile, « potevano limitarsi a scopare, basta e ciao. E
invece no, hanno dovuto gioca’ così co ‘na ragazzina, co la vita de ‘na
ragazzina di 16 anni. Ma ce ne poteva ave’ pure 30, nun se fa’».
Le
donne aspettano tutte di essere interrogate. Sono tese, angosciate.
Muriel Kafusa, la ragazza che ha rivestito Desirèe e chiamato i
soccorsi, « dice che le sta venendo l’ansia preoccupata di avere potuto
riferire qualcosa di sbagliato - scrivono gli investigatori - Dice di
averla rivestita perché era un’opera di bene, non poteva lasciare una
ragazzina in quello stato davanti a degli uomini. Dice anche che quando
ha iniziato a respirare con affanno le hanno tirato addosso dell’acqua».