Il Fatto 10.11.18
“Desirée doveva andare in comunità: non c’era posto”
Il
tribunale dei minori ha cercato invano un centro di recupero per la
ragazza dopo che era stata sorpresa a spacciare. Le strutture però erano
tutte piene
di Vincenzo Bisbiglia
Il Tribunale
dei minori stava cercando una comunità di recupero per Desirée
Mariottini. Ma nelle strutture contattate non ci sarebbero stati posti
disponibili. Il “nulla di fatto” sarebbe arrivato pochi giorni prima che
la 16enne perdesse la vita nello spazio abbandonato di via dei Lucani a
Roma. Un nuovo retroscena che, se confermato, potrebbe aggiungere
ulteriore rammarico sulla morte della teenager di Cisterna di Latina. La
ragazza era stata assegnata ai servizi sociali un paio di settimane
prima dei fatti di San Lorenzo, quando fu denunciata per spaccio di
hashish e Rivotril. In quell’occasione, gli assistenti sociali avrebbero
concordato con la famiglia l’affidamento in comunità, mobilitando
proprio il Tribunale dei minori. Ma, secondo alcune indiscrezioni sulla
vicenda, non confermate dai legali della famiglia di Desirèe, il giro di
telefonate alle strutture abilitate fu infruttuoso.
Nel
frattempo, ieri, il Tribunale del Riesame di Roma ha discusso la
richiesta di scarcerazione del nigeriano 46enne, Chima Alinno, detto
‘Sisko’, uno dei 4 africani arrestati per il presunto omicidio e la
violenza sessuale della ragazzina. L’avvocato Giuseppina Tenga ha
chiesto la scarcerazione dell’uomo in quanto, citando il Gip presso il
Tribunale di Foggia con riferimento a Salia Yusif, uno dei quattro
indagati ha spiegato che “non si evince chi sia stato (lui) a cedere
alla vittima quel mix di gocce, metadone, tranquillanti e pasticche che
ne avrebbe determinato la morte per grave insufficienza respiratoria”. I
pm Monteleone e Pizza hanno depositato, fra le altre cose, i risultati
dell’esame tossicologico che certifica come Desirée sia morta per mix di
psicofarmaci e metadone. Agli atti sono finite anche intercettazioni
ambientali carpite dalla polizia nella sala d’attesa della Questura di
Roma, nel giorno in cui sono sfilati come testimoni, di fronte al capo
della Squadra Mobile, Luigi Silipo, alcuni dei frequentatori di via dei
Lucani.
A essere intercettati Narcisa, Giovanna, Muriel e Noemi,
oltre al bulgaro Nasko. Stando alle trascrizioni, Giovanna avrebbe
detto: “Desirée se l’è cercata, era una cretina”; “nessuno merita di
morire così”. Riguardo al ruolo degli italiani, Noemi, raccontando di
quando la polizia era venuta a prelevarla a casa, dice: “Hanno bussato
alla porta, erano quello alto e quello grosso e pensavano che erano gli
scagnozzi di Mirko”. Quindi “Giovanna cerca di zittirla facendo il verso
‘shhhh zitta’ come sa sapesse di essere ascoltata lasciando intendere
che non vuole che si metta in mezzo Mirko”. Mirko sarebbe “l’ultra
salviniano” di San Lorenzo (residente ad Aprilia) con precedenti per
spaccio, divenuto noto per le ‘ronde’ di quartiere e gli appelli al
ministro dell’Interno, che la sera successiva alla morte di Desirée
aveva accompagnato il keniota ‘Pi’ a raccontare la propria versione al
commissariato di zona con “l’intenzione di dare una mano”.
Si
parla anche di Marco, il misterioso 35enne che tutti sembrano conoscere
ma di cui la polizia non ha notizia, che potrebbe aver fornito al gruppo
gli psicofarmaci letali: “Dicono sottovoce – si legge nella
trascrizione – che Marco ha un coltello infilzato nella gamba. Muriel
ripete che per questo motivo forse non lo aveva più visto. Giovanna dice
che è stato accoltellato e ha il cranio fasciato”. E sempre sul mix di
farmaci, Narcisa rivela che “Ibrahim ha detto che Marco le ha dato le
gocce e lui solo le pasticche e Giovanna dice ‘uno le gocce, uno le
pasticche, uno il metadone e ha fatto il cocktail’”. E Narcisa rivela
che “questa boccetta l’ha portata Marco là dentro”.