Repubblica 5.11.18
Il militare che ha denunciato
Il carabiniere in sala per il film su Cucchi " Non potevo più tacere"
di Giuliano Foschini
Di che cosa stiamo parlando
Il
caso di Stefano Cucchi, il geometra romano morto nel 2009 mentre era in
custodia cautelare per spaccio, si riapre nel 2015 con la testimonianza
di Riccardo Casamassima: l’appuntato dell’Arma rivela di aver raccolto
la confidenza di un collega sul pestaggio di Cucchi da parte di tre
carabinieri. La svolta l’11 ottobre scorso quando, durante un’udienza al
processo, il carabiniere Francesco Tedesco ammette il pestaggio e
accusa dell’aggressione i colleghi Raffaele D’Alessandro e Alessio Di
Bernardo.
ANDRIA Sono qui perché spero che riflettiate. Questo
film è un invito a pensare: vi racconta che un ragazzo è stato
massacrato di botte senza un perché. E che chi lo ha fatto, non ha
mantenuto la promessa di chi porta quella divisa. I carabinieri non sono
loro». Riccardo Casamassima è seduto su un palco parrocchiale della sua
città, Andria. È arrivato in Puglia da Roma raccogliendo l’invito di un
gruppo di ragazzi dell’associazione IdeAzione: avevano deciso di far
vedere il film di Alessio Cremonini, Sulla mia pelle, che racconta cosa è
accaduto a Stefano Cucchi. È venuto a parlarne lui, il primo
carabiniere a rompere il muro di omertà attorno al pestaggio.
Nessuno
meglio di questo carabiniere che, per primo, davanti ai magistrati ha
detto: «Nell’ottobre 2009 il mio collega, il maresciallo Roberto
Mandolini,si è presentato in caserma: mi confidò che c’era stato un
casino perché un giovane era stato massacrato di botte dai ragazzi, e
quando si riferì ai "ragazzi" l’idea era che erano stati quelli che lo
avevano arrestato».
«Per le mie parole, mi sono già stati aperti
parecchi procedimenti disciplinari», dice Casamassima, quando le luci
della sala sono ancora alte, riferendosi ad alcune interviste rilasciate
in questi mesi. "Non potrò parlare del processo, ma sono qui per dire
che ho scelto di fare il carabiniere perché credevo e credo ancora
nell’Arma. Noi non siamo quelli che raccontano in quello schermo. Un
ragazzo viene massacrato di botte senza un perché, e questo è
inaccettabile.
Chi entra nelle mani dello Stato deve poter tornare a
casa. E invece Stefano Cucchi è entrato sano in una caserma ed è uscito
morto".
Casamassima ha parlato però dopo sei anni. Tardi, tardissimo.
«Ho
deciso di testimoniare quando mi sono reso conto che erano state
condannate persone innocenti. Quando da questa città, la mia, sono
andato via per fare il carabiniere l’ho fatto perché credevo di stare
dalla parte giusta. E allora dovevo dire quello che sapevo: dovevamo
dare una verità a una famiglia che la stava cercando in maniera
disperata». Casamassima racconta che la sua scelta ha avuto un costo,
non soltanto umano. «Mi hanno trasferito, per danneggiarmi. Sono stato
demansionato. Ancora oggi non sono stato messo nelle condizioni di fare
il mio lavoro». La sala è piena, zeppa. Ci sono ragazze e ragazzi, molte
persone anziane.
Fuori piove, i ragazzi dell’organizzazione giurano
di essere apartitici e apolitici ma qualcuno in sala assicura che ci
sono molte persone che abitualmente votano per il centrodestra. «È la
prova che non è questione di bandiere. La storia di Stefano appartiene a
tutti», dicono mentre ormai ci sono soltanto posti in piedi.
Casamassina
continua: «Mi sono convinto di aver fatto la scelta giusta quando al
termine del primo processo ho sentito la madre di Stefano dire: "Adesso
torniamo a casa e troviamo nostro figlio"». Le luci si spengono.
Un’ora
e ventotto minuti dopo sullo schermo c’è un carabiniere seduto davanti a
Milvia Mirigliano, l’attrice che interpreta la mamma di Stefano, Rita.
Le dice: «Signora ho una brutta notizia da darle: suo figlio Stefano è
deceduto».