Repubblica 5.11.18
Cinque stelle al buio
di Piero Ignazi
L’inversione
dei rapporti di forza tra 5Stelle e Lega mette in tensione l’alleanza
di governo. Come giustamente sottolineava Massimo Giannini, il M5S è un
taxi che la Lega ha utilizzato per andare a Palazzo Chigi, e dal quale
può scendere quando vuole. Non subito, perché gli interessa logorare il
più possibile il proprio partner facendogli ingoiare ogni giorno un bel
rospo. Dichiarazioni velenose e sfottenti a mezza bocca a Roma ma a
squarciagola nei territori del Nord-Est, norme sulla sicurezza fatte
apposta per far venire l’orticaria alla componente legalitaria dei
pentastellati, emendamenti a pioggia per annacquare il progetto di legge
anticorruzione, dubbi e perplessità distillati ogni giorno sul reddito
di cittadinanza per rimandarlo e renderlo il più possibile confuso e
impraticabile. Una strategia chiara quella della Lega, che passa dalla
demolizione dei compagni di strada bollati come incapaci e confusionari,
e dalla riproposizione a tutto tondo della propria agenda securitaria,
xenofoba e scassa- finanze, a favore della constituency dei lavoratori
autonomi di ogni tipo e genere, bastione elettorale leghista da sempre. A
questa linea politica coerente e ben orchestrata il M5S non riesce a
fare argine. Onestà, trasparenza, innovazione, ambientalismo e cura del
territorio sono stati tutti immolati sull’altare del contratto di
governo da onorare o travolti dalla cattiva coscienza (si veda, su
tutti, il condono esteso a Ischia) e dalla impreparazione della classe
dirigente colta in fallo su quasi ogni provvedimento. Insomma, un
effetto Raggi a livello nazionale. Al M5S non rimane che il totem del
reddito di cittadinanza, unico faro con cui illuminare la sua opaca
attività di governo. Ma ben difficilmente andrà in porto. La resistenza
passiva della burocrazia e le oggettive difficoltà di implementazione di
un progetto così ambizioso lo ridimensionerà.
È comunque
straordinario come i pentastellati vadano incontro alla catastrofe
apparentemente compatti come una "testuggine romana", salvo qualche
sporadico dissenso. Da questa sorte, al momento ineluttabile, possono
uscire, pur con danni, adottando due svolte, molto diverse tra loro, che
portano entrambe a una ridefinizione del sistema partitico nazionale.
La
prima uscita di sicurezza può essere attivata da un intervento
salvifico del redivivo Di Battista che riattivi tutto l’armamentario
retorico di stampo populista e barricadiero, un po’ appannato in questi
mesi ( salvo improvvisi balzi d’umore come i festeggiamenti dal
balcone). Innestare questa marcia significa rompere con la Lega, uscire
dal governo e rilanciare il " movimento" su tutte le tradizionali
battaglie anti-establishment. Sarebbe il riconoscimento della esplicita
difficoltà, e della implicita capacità, a governare. Il M5S, pur
mantenendo un suo capitale elettorale, ancora cospicuo benché ridotto
rispetto ai fasti del 4 marzo, si relegherebbe, di nuovo, ad un ruolo di
opposizione radicale. La Lega subirebbe qualche contraccolpo perché
anche nel suo elettorato vi sono ampie aree "anti-sistemiche" sulle
quali un M5S all’attacco morderebbe, e il Pd potrebbe recuperare quelle
componenti deluse dal renzismo ma indisposte a seguire il Movimento in
questa deriva e inclini piuttosto a tornare su un partito connotato (di
nuovo) a sinistra.
La seconda segue in parte lo stesso schema ma con
un protagonista diverso ( Roberto Fico) e con prospettive "più
politiche". In questo caso la rottura con la Lega non si dirige verso un
incremento del tasso di alterità rispetto al " sistema" bensì si
inclina verso un maggiore pragmatismo e una potenziale apertura alla
sinistra. A fronte della ricostituzione, ormai già in atto,
dell’alleanza storica di "centro destra" — ma è tempo di chiamarla di
destra tout court, visto il dominio salviniano — non potrà esserci altro
che uno schieramento alternativo di pentastellati e democratici, in
senso stretto e lato. Ad oggi sembra fantapolitica ma la rapidità con
cui mutano gli orientamenti dell’opinione pubblica induce a contemplare
anche questa ipotesi. Che, in realtà, è l’unica alternativa reale a un
governo Salvini. Di pop corn ne abbiamo già mangiati abbastanza in
questi mesi per doverne fare una indigestione grazie a Matteo (Salvini).