venerdì 2 novembre 2018

Repubblica 2.11.18
Chi minaccia l’unità della scuola
di Alberto Asor Rosa


In un’intervista al Corriere della Sera il ministro dell’Istruzione Marco Bussetti ha dato una notizia e manifestato un’intenzione che mi hanno fatto rabbrividire.
Rabbrividire di questi tempi?
Dovevano essere un’intenzione e un’intenzione di grande portata e gravità. Io penso infatti che lo siano.
Alla domanda: «Veneto e Lombardia hanno presentato la nuova bozza d’intesa per l’autonomia e chiedono di poter "regionalizzare" professori e presidi che diventerebbero dipendenti della Regione e non più dello Stato. Lei è d’accordo?». Il ministro risponde che «c’è un dibattito in corso». «Ma l’aspetto positivo — aggiunge — è che le due regioni promettono di mettere più risorse per gli stipendi degli insegnanti»(!).
Comunque: «Sarà un cammino sicuramente lungo, ma potrebbe essere un’opportunità, un modello anche virtuoso di gestione più capillare delle scuole». Quindi, il governo andrà avanti in questa direzione.
Ne ricaviamo questo convincimento: fa parte del programma e, ancor più, della cultura di questo governo la "regionalizzazione" della scuola italiana. Ecco l’intenzione di grande portata e gravità.
La scuola italiana, allo stato attuale delle cose, rappresenta uno dei capisaldi di maggiore unità, — culturale, ideale, professionale, — del Paese. Più delle istituzioni? Più delle Camere? Più del governo? Più dei partiti (discorso più differenziato, ma alla fine analogo)? Io direi: in questa fase, inequivocabilmente sì. C’è soltanto la presidenza della Repubblica che continua a muoversi senza equivoci né riserve nella stessa direzione. La sostanziale unicità dei programmi, elementi fondamentalmente comuni nella formazione degli insegnanti e dei presidi, la loro circolazione, per quanto difficile e precaria, fra una Regione e l’altra del paese, il senso, secondo me presente ovunque, di stare facendo un lavoro comune (spesso, non esagero, un eroico lavoro comune),fanno della scuola una spina dorsale del Paese.
Questa unitarietà e centralità della scuola andrebbe condivisa ed esaltata in tutti i modi, sia finanziari sia culturali che professionali, invece di contrastarla, come sempre più chiaramente sta emergendo (per non parlare della mostruosità per cui professori di Como e di Afragola verrebbero pagati in misura diversa per insegnare le stesse cose!). Tutto ciò è possibile anche oggi, nonostante tutte le difficoltà che vi si frappongono.
Ma non c’è solo questo all’orizzonte: il passo successivo potrebbe essere logicamente la "regionalizzazione" delle Università, della ricerca scientifica e, perché no, dei giornali e delle case editrici, insomma, di tutto quanto contribuisce all’unità mentale e ideale del Paese. Quel che voglio dire è che la "regionalizzazione" della scuola rappresenterebbe un prodromo e un coefficiente formidabile della disunione del Paese.
Tutto nell’orbita, naturalmente, delle prospettive che regolano i comportamenti delle forze politiche che ci governano. Motivo di più per opporglisi fin d’ora con grande risolutezza ed energia. La scuola italiana è in grado di farlo.