giovedì 29 novembre 2018

Repubblica 29.11.18
Il Paese della paura
di Ezio Mauro


Consumiamo più paura di quanta una democrazia possa permettersi: e lo squilibrio determina gli scompensi politici, sociali, culturali che dobbiamo toccare con mano nella vita di ogni giorno, e che ci circondano fino a sovrastarci. Una paura che pensiamo di riuscire a riconoscere, almeno a definire, in ogni caso a controllare. Ma in realtà sta straripando da un campo all’altro, sta invadendo aree non controllate, cancellando confini, mescolando territori, fino a confonderci e a ottenere il risultato supremo, perché politico: diventare un tutt’uno indistinguibile, un insieme che non è più scalfibile, e per questo vince.
Nella rincorsa di ansia tra il governo e il Paese, mentre il Parlamento vota il decreto sicurezza il ministro dell’Interno già annuncia la nuova legge sulla legittima difesa. Per Salvini la nuova legge è introdotta clamorosamente dal caso di Monte San Savino, in provincia di Arezzo, dove un gommista di 57 anni l’altra notte alle 4 si è svegliato per i rumori che sentiva nel suo capannone dove dormiva da quattro anni dopo 38 tentativi di furto, ha visto due ladri, ha sparato con la pistola e ha ucciso un giovane moldavo. In questa storia c’è molto del precipizio italiano di questi anni. Un uomo che si sente abbandonato dallo Stato, costretto a dormire tra le gomme e le biciclette per le continue ruberie, e con la pistola sotto il cuscino, perché non conosce altro modo per difendersi. I ladri che spaccano il vetro ed entrano nel capannone. Gli spari, il sangue, un giovane uomo morto. L’immediato uso politico di quanto è accaduto, senza nessuna vera condivisione, senza nessuna pietà, senza nessuna ricerca politica di un esito diverso, come se il furto fosse la prova tanto attesa, la morte diventasse un pretesto, lo sparo un eroismo: applausi e striscioni per il gommista, la solidarietà di Salvini: « Io sto con chi si difende » , l’annuncio immediato della nuova legge che sfruttando l’emotività e la paura vuole cancellare la proporzione necessaria tra la reazione di chi si difende e l’offesa ricevuta.
Per ora il gommista aretino è indagato per eccesso di legittima difesa: l’eccesso colposo cadrebbe con la nuova legge. Resta la paura, che ha spinto quest’uomo a dormire nel suo capannone negli ultimi quattro anni per paura dei ladri, in compagnia di una pistola Glock da tiro a segno (come quella di Luca Traini, l’autore del raid contro i " negri" a Macerata). Una paura che fa aumentare la voglia di sicurezza fai-da-te, come in America, con la quota di chi chiede norme più facili per il possesso di fucili e pistole che cresce in un anno dal 26 al 39 per cento, in un Paese che ha già un’arma nelle case di 4 milioni e mezzo di italiani, con un incremento del 14 per cento nell’ultimo anno. Tutto questo mentre i reati sono diminuiti del 10 per cento nel 2017, gli omicidi si sono praticamente dimezzati in dieci anni, le rapine sono scese del 37,6 per cento e i furti del 13,9.
Ma abbiamo costruito una figura in grado di assorbire e insieme di rilasciare tutte le paure, ingigantendole e portandole a convergere. Il migrante, meglio l’africano, meglio ancora il "negro", in ogni caso lo straniero. Una figura reale e fantasmatica insieme, che diventa il nemico naturale, originario ed eterno, immediatamente simbolico, nuovamente e sempre riconoscibile. Capace di raccogliere su di sé gli istinti, le inquietudini, le pulsioni profonde di una parte della popolazione infragilita dalla crisi e di un’altra parte indurita da una nuovissima gelosia del welfare: che si saldano in un risentimento identitario, per dar vita a un inedito sentimento indigeno inconfessato, che riemerge sempre meno inconsapevole.
Muovendosi ogni giorno di più come il vero proprietario del governo, ma soprattutto come il mago che ha in mano la psiche del Paese, Matteo Salvini sta scaricando tutto il problema della sua politica da ministro dell’Interno sulle spalle dei migranti, compiendo una doppia operazione congiunta. Da un lato una svalutazione delle altre componenti " tecniche" e psicologiche dell’ansia e dell’inquietudine con cui devono fare i conti i cittadini, soprattutto per l’incertezza crescente di futuro, che viene alimentata ogni giorno da questa tensione permanente di un conflitto continuamente annunciato con nemici invisibili, che si materializza più che altro nei social network, dove si traduce la forma più alta e costante dell’attività di governo e di leadership. Dall’altro lato un’esaltazione ideologica del fantasma straniero, chiamato a coincidere intimamente e indiscutibilmente — a dispetto delle cifre, dunque della realtà — con la sicurezza dei cittadini, anzi con la loro incolumità personale, in una separazione ormai dichiarata e accettata di spazi, di percorsi e di destini.
Ieri l’operazione è arrivata al suo culmine. Mentre il decreto sicurezza giungeva al suo ultimo atto in Parlamento, cancellando il permesso di soggiorno per motivi umanitari, riservando il sistema di accoglienza Sprar (con percorsi di integrazione gestiti dai Comuni) solo a chi ha già ottenuto l’asilo e ai minori stranieri non accompagnati, Salvini ha annunciato che intende mettere mano a tutto l’insieme delle norme che riguardano l’immigrazione. Poi ha affacciato la legittima difesa. E subito dopo, con un annuncio a sorpresa che ha ribaltato la posizione tenuta dall’Italia negli ultimi due anni, ha reso noto che l’Italia non firmerà il Global compact for migration lanciato dall’Onu nel 2016, e addirittura non parteciperà al vertice di Marrakech del 10 e 11 dicembre che dovrebbe dare il via operativo a quegli accordi decisi a New York nel settembre di due anni fa.
Di fronte all’onda alta delle migrazioni, il Global compact, sostenuto da Obama, provava a introdurre elementi di governo, di razionalità e anche di integrazione e di solidarietà, o almeno di rispetto dei diritti umani, per garantire "una migrazione sicura, ordinata e regolare". Lo scopo era quello di rafforzare la cooperazione globale per gestire i fenomeni migratori supportando i Paesi più coinvolti nel salvataggio e nell’accoglienza, " proteggendo la sicurezza, la dignità, i diritti e le libertà fondamentali di tutti i migranti", integrandoli con programmi di sviluppo, combattendo "xenofobia, razzismo e discriminazione". Dopo gli impegni presi a New York, si trattava adesso di passare agli impegni concreti e ai mezzi di attuazione.
E si capisce perfettamente che l’Italia di oggi non c’entri nulla con il Global compact, come l’America di Trump, che infatti l’ha già respinto. Ieri il premier Conte, seguendo Salvini, ha annunciato che rimetterà la questione della firma al Parlamento. Ma è chiaro che sia sul piano teorico, dei principi, che sul piano pratico, degli impegni, la maggioranza guidata da Lega e Cinque Stelle guida il Paese in una direzione opposta, quella del nazionalismo sovranista. « Il Global compact distrugge di fatto i confini e gli Stati nazionali — spiega Giorgia Meloni — favorendo l’immigrazione incontrollata».
È la paura che ritorna, tenendosi tutta insieme, come qualcosa che non si può più separare. La paura dell’uomo che spara, la paura di tentare un governo responsabile della migrazione, la paura dei buoni principi, la paura dello straniero. Purché il Paese viva come in un incubo, non apra le sue porte e le sue finestre, non si riprenda le strade e le piazze, sbarrate da quei politici che come i monaci battenti del Medioevo sembrano ripeterci: ricordati di avere paura. Poi arriverà qualcuno, bucherà la bolla del grande spavento, e ricomincerà la politica.