il manifesto 29.11.18
Arci
Più cultura e meno paura
di Francesca Chiavacci, Stefano Cristante
Perché
cercare di mettere insieme la più grande associazione culturale
italiana e l’università? Perché entrambi sono “di strada” per i
cittadini, cioè entrambi sono luoghi sociali che rientrano con facilità
negli itinerari possibili per chi vuole apprendere e riflettere (ed
eventualmente darsi da fare).
L’Arci ha da poco compiuto
sessant’anni e ha appena lanciato, con più di duecentocinquanta eventi
previsti in sette giorni, la propria campagna pubblica e di opinione sul
fatto che al nostro paese servono più cultura e meno paura. I tempi in
cui viviamo pullulano di propaganda, di pregiudizi e di scelte
strategiche sbagliate. Una riprova è che la stessa università, negli
ultimi decenni e ancora oggi, è stata considerata dai governanti una
non-priorità, ovvero un sistema da sotto-finanziare e di cui curarsi il
meno possibile. All’università sono stati riservati tagli micidiali
proprio durante gli anni più gravi della crisi economica e finanziaria,
quando molti altri paesi europei hanno fatto esattamente il contrario,
aumentando il budget per l’istruzione.
Le tasse per gli studenti
si fanno più care, scarseggia la dotazione di borse di studio, il numero
dei nostri laureati è tra gli ultimi in Europa. Vi è una situazione
sempre più grave nel turn-over tra i docenti, con tanti pensionamenti
non sostituiti da nuova occupazione e l’estendersi drammatico dell’area
del precariato. Senza investimenti la didattica e la ricerca vanno
avanti come possono, cioè con grandi sforzi individuali che il sistema
indirizza verso un’esasperata competizione per risorse scarsissime.
Eppure
nelle nostre Università ci sono centinaia e centinaia di giovani
ricercatori e di docenti che elaborano una gran quantità di contenuti e
di idee su temi di enorme interesse pubblico come l’energia, l’ambiente,
i diritti, le disuguaglianze, l’informazione, le tecnologie, l’arte.
Ricercatori e docenti che spesso faticano a trovare luoghi non
accademici dove incontrare persone con le quali condividere e discutere
il proprio sapere.
Ecco perché l’Arci ha fatto propria la
suggestione di un’università “di strada”: si tratta di una serie di
incontri e di lezioni che potranno essere ospitati nei circoli
associativi e in ogni altro luogo delle nostre città (librerie, sale
pubbliche, scuole, pub, ecc.) dove presentare idee e analisi sulla
società e su ciò che riteniamo sia prioritario per una discussione
propositiva sulla fase che attraversiamo. Ad animare le lezioni
dell’Università di strada saranno ricercatori ed esperti (non solo
accademici) capaci di affrontare temi che solitamente i mezzi di
comunicazione di massa trattano con superficialità o su cui direttamente
sorvolano. L’Arci metterà a disposizione del progetto i propri circoli e
offrirà un coordinamento nazionale alla rete dell’Università di Strada,
il cui rettore sarà una personalità dall’energia e dall’esperienza non
comune come Luciana Castellina. Nel frattempo stiamo raccogliendo le
adesioni di docenti, ricercatori ed esperti in modo da poter offrire ai
circoli e agli altri luoghi che ospiteranno le lezioni dell’Università
di strada una serie di argomenti su cui organizzare i nostri eventi,
piccoli o grandi che siano.
Partiremo proprio nei prossimi giorni,
offrendo due appuntamenti d’assaggio, uno al Nord (a cura di Arci
Cremona, presso l’Antica Osteria del Fico) e uno al Sud (al circolo La
Ferramenta dell’Arci di Lecce, città dove è nata la prima
sperimentazione di Università di strada grazie a Lecce Bene Comune).
Nelle prossime settimane definiremo nuove date e nuovi appuntamenti,
contando su un rapido aumento delle adesioni, anche collettive, tra cui
già segnaliamo quella dell’Adi, l’associazione dei dottorandi e dei
dottori di ricerca italiani.
Per ora sono circa quaranta le sedi Arci che hanno richiesto di ospitare le lezioni dell’Università di Strada.
Molti,
soprattutto a sinistra, si lamentano di come gli intellettuali non
riescano a riannodare una connessione sentimentale con il proprio
popolo. Noi proviamo a cimentarci nell’impresa, dal basso e senza grandi
budget, contando sulla passione per il sapere e sulla sua condivisione
collettiva.