La Stampa 29.11.18
Paradosso italiano: i reati diminuiscono ma la paura cresce
di Grazia Longo
Diventa
più marcata la distanza tra la sicurezza reale e quella percepita. La
prova? I reati diminuiscono eppure i cittadini hanno sempre più paura. E
in tanti plaudono alla nuova legge sulla legittima difesa fortemente
voluta dal ministro dell’Interno Matteo Salvini, che salverebbe
dall’incriminazione chi uccide per difendersi.
Incrociando i dati
del Viminale, del Censis e di Noto sondaggi emerge la fotografia di un
Paese dove, a fronte di un calo dell’8 per cento dei reati, un italiano
su due ha talmente paura da ritenere la sicurezza il problema più grave
dopo l’emergenza lavoro e uno su tre vorrebbe l’introduzione di criteri
meno rigidi per il possesso di un’arma da fuoco per la difesa personale.
Secondo
il Censis, i più convinti in questa direzione sono le persone meno
istruite (il 51 per cento tra chi ha al massimo la licenza media) e gli
anziani. Nel rapporto, realizzato con Federsicurezza, viene sottolineato
inoltre l’aumento del numero di persone che possono sparare: nel 2017
in Italia si contano 1.398.920 licenze per porto d’armi (dall’uso caccia
alla difesa personale). In sostanza c’è un’arma da fuoco nelle case di
quasi 4,5 milioni di italiani (di cui 700 mila minori).
Nel
complesso, come evidenzia l’analisi effettuata dal Viminale sei mesi fa,
i reati sono scesi dell’8 per cento. Dal 1 agosto 2016 al 31 luglio
2017 erano infatti 2.453.872, mentre dal 1 agosto 2017 al 31 luglio 2018
sono diventati 2.240.210. Più nel dettaglio, si è registrata, nello
stesso arco temporale, un’inflessione del 14 per cento degli omicidi
(passati da 371 a 319), la riduzione dell’11 per cento delle rapine (da
31.904 a 28.390) e meno 8 per cento dei furti (da 1.302.636 a
1.189.499). Il Censis rivela che Milano era al primo posto con 237.365
reati nel 2016 (il 9,5 per cento del totale), poi Roma (con 228.856
crimini, il 9,2 per cento), seguono Torino e Napoli con percentuali
intorno al 5,5.
Ma un conto sono i numeri effettivi, un altro è
quello della percezione della sicurezza. «La gente ha paura al punto da
ritenere il tema prioritario - osserva Antonio Noto, direttore di Noto
sondaggi -. L’allarme sicurezza è equamente distribuito sul territorio
nazionale, senza particolari distinzioni tra Nord e Sud». Ad essere
preoccupato per la propria incolumità è il 46 per cento degli italiani,
mentre il 33 per cento è d’accordo a incrementare l’uso delle armi per
la difesa personale. «E non si tratta solo di elettori del centrodestra -
prosegue il sondaggista -. Di questo 33 per cento, infatti, il 40 per
cento è vicino al centrodestra, un altrettanto 40 per cento non ha
ideologie politiche e il 20 appartiene al centrosinistra». Tra le altre
caratteristiche di questa fetta di cittadini che rivendicano il diritto a
sparare in caso di aggressione, il 65 per cento sono uomini, il resto
donne, il 50 per cento ha più di 50 anni, il 25 per cento è composto da
adulti e il rimanente 25 per cento da giovani.
Ma, al di là dei
numeri, quali ragioni si annidano dietro la paura della gente e
l’aspirazione a farsi giustizia da sé? Secondo il professor Paolo De
Nardis, ordinario di Sociologia alla Sapienza e Decano nazionale di
sociologia, «un certo clima politico e la complicità mediatica hanno
alimentato la paura e la voglia di autodifendersi. Ci stiamo
americanizzando, ma in realtà la cultura antropologica degli italiani è
fondata sulla solidarietà e non sulla solitudine e la paura, che
spingono a considerare le armi come un terzo braccio in grado di
risolvere i problemi».
Il sociologo invita, inoltre, a riflettere
su una ricerca secondo cui «in Veneto, dove si registrano più permessi
per uso sportivo e venatorio, ci sono meno delitti che in Calabria dove
il numero delle licenze è inferiore». E conclude auspicando «più
partecipazione pubblica e una maggiore fiducia nelle istituzioni: non
bisogna isolarsi ed essere monadi ma maturare spirito critico».