Repubblica 27.11.18
Intervista
Il docente di Tor Vergata
"Io parlo, l’app traduce lo smartphone in aula non è più un tabù"
Testo trascritto in tempo reale, addio agli appunti. Gli studenti: "È una svolta"
di Ilaria Venturi
Entra
in aula, mostra le slide, scrive formule alla lavagna, spiega,
sollecita. E la sua lezione è trascritta e tradotta in tempo reale sugli
smartphone dei suoi studenti. Massimiliano Schiraldi, docente associato
di Operations Management a Roma Tor Vergata, insegna così e per i suoi
ragazzi cresciuti a pane e telefonino è «una svolta».
L’ultima
frontiera dell’innovazione didattica in università, dove siedono
ventenni nativi digitali, è sperimentata nei suoi corsi e presto sarà
estesa alle altre facoltà dell’Ateneo. Il vulcanico professore, romano,
44 anni, l’ingegnere che fa ricerca sulla gestione della filiera
logistica e manifatturiera, vanta un’esperienza di insegnamento in Cina e
Inghilterra. E molta passione nello stare in cattedra.
«Non serve
per fare carriera, i docenti in Italia sono valutati solo per la
ricerca. Ma ciò nonostante chi ha scelto di dedicare la propria vita
alla docenza ci tiene a fare buona didattica».
Professore, come avviene una sua lezione?
«Entro
in aula, indosso un auricolare e comincio a insegnare. Mentre io parlo
la mia voce è registrata e sbobinata in tempo reale, anche tradotta in
qualsiasi lingua, dall’inglese all’arabo. Il testo, con grafici e slide,
passa nei telefonini degli studenti. Loro sono collegati alla app e
possono segnarsi un passaggio importante, che servirà per il ripasso, o
premere il tasto col punto interrogativo per segnalare in forma anonima
che non hanno capito qualcosa. Così io mi fermo e rispiego».
Non si distraggono a seguire la lezione sugli smartphone piuttosto che prendere appunti con carta e penna?
«Al contrario, sono più attenti.
Chiunque
fa lezione oggi sa bene cosa avviene: una schiera di registratori sulla
cattedra, l’alibi per distrarsi. Poi a casa sbobinano perdendo un sacco
di tempo.
Quasi nessuno inoltre alza più la mano. Con questa
applicazione tutti sono incentivati a intervenire e si ritrovano appunti
digitali che permettono di trovare l’esatto punto che interessa, di
collegarsi ai contenuti di tutto il corso o di lezioni tenute da altri
docenti. Lo studio diventa approfondimento».
Che tipo di programma usate?
«Si
chiama Eiduco, è una piattaforma olandese nata per trascrivere le
sedute psicoanalitiche. Lo abbiamo sperimentato per due anni a
Ingegneria, adattandolo anche grazie al contributo degli studenti, ed
ora sarà esteso alle altre facoltà. Un sistema facile da gestire. Poi io
uso anche una App ideata da me e gratuita, si chiama Xox».
A cosa serve?
«È
un progetto che consente di aprire una sessione di domande per l’aula.
Gli studenti rispondono, i risultati sono riepilogati e possono così
essere discussi. Tutti i più recenti studi sulla teaching excellence
mettono in evidenza l’importanza di coinvolgere gli studenti durante la
lezione.
Harvard dispone di un dispositivo hardware con funzioni analoghe.
Lo scopo è sviluppare nella lezione concetti già in parte appresi».
Le università si stanno muovendo sul fronte dell’innovazione didattica: ma non basta la tecnologia per farlo, concorda?
«La
tecnologia non è che il "grilletto" che fa scattare l’innovazione. Il
mio è un invito a sperimentare nuovi e diversi modi di insegnare
avvalendosi anche di tecnologie ora disponibili e che si avvicinano al
modo di comunicare dei giovani che abbiamo di fronte.
Nonostante
la didattica non paghi, nel nostro Paese ci sono atenei e docenti che
continuano a farsi in quattro per innovare, spesso superando il livello
delle più prestigiose università internazionali. Anche nonostante la
depressione che vive il sistema universitario italiano».