Repubblica 25.11.18
Un Sasso nello stagno
A questa sinistra serve una mossa
di Donald Sassoon
Alla
fine degli anni Novanta la sinistra non appariva in crisi. Al
contrario, per la prima volta gli stati più importanti dell’Europa
occidentale — Germania, Regno Unito, Francia e Italia — avevano tutti
partiti di sinistra al governo: Romano Prodi era primo ministro nella
coalizione di partiti che includeva gli ex-comunisti; Tony Blair, dopo
diciotto anni di potere conservatore, riportò i laburisti al potere con
una vasta maggioranza; in Francia Lionel Jospin divenne primo ministro e
in Germania Gerhard Schröder, del partito socialdemocratico, fu eletto
cancelliere. La sinistra era in carica (da sola o in coalizioni) anche
nella maggior parte degli altri paesi dell’Unione europea: Svezia,
Olanda, Finlandia, Austria, Belgio, Danimarca, Portogallo e Grecia.
Comunque
i partiti europei socialdemocratici non riuscirono (né provarono
veramente) a sfruttare quella congiuntura particolare per stabilire
diritti sociali ed economici comuni a livello continentale, una rete di
assistenza sociale per tutta l’Unione europea, una politica fiscale
ridistributiva valida ovunque nella Ue oppure un rigido sistema di
regolamentazione del mondo del lavoro diffuso in tutta Europa. Ogni
partito socialista fu obbligato ad adottare una politica interna poco
attenta al contesto europeo, pur dedicando un’insolita retorica verso il
concetto di integrazione sovranazionale. L’istituzione di una singola
moneta, l’euro, non facilitò l’implementazione di un sistema di
controlli paneuropei, che avrebbe dato all’euro una struttura
regolamentare appropriata. L’Unione europea è rimasta sostanzialmente
una confederazione disunita di stati con capitalismi divergenti, dove
tutto è soggetto all’obiettivo della competizione libera, pur mascherata
da armonizzazione; da qui deriva la crisi contemporanea, resa ancor più
grave dalla decisione del Regno Unito di lasciare l’Unione. Il problema
sorge dalla difficoltà di difendere i diritti sociali ed economici
sulla base della singola nazione, essendo altrettanto difficile
raggiungere un accordo a livello europeo per applicarli.
La
recessione globale iniziata nel 2007 contribuì ai sentimenti
antieuropei. Un sondaggio condotto nel settembre 2012 dimostrò che
l’Unione europea stava registrando valutazioni in calo (pur restando
ancora favorevoli) da una maggioranza della popolazione in paesi ove il
concetto di Ue era molto radicato, come Germania, Francia e Italia, per
non parlare dell’Inghilterra. Tutto ciò dimostra che le opinioni
pro-Europa riflettono il comportamento dell’economia: quando essa è
positiva, l’Europa è popolare. Quando erano in carica, i partiti
socialisti hanno finito per fare quello che ci si è sempre aspettati dai
governi europei: assicurarsi che il loro capitalismo "nazionale"
rimanesse forte e competitivo.
Si impose così una "grandiosa
narrativa" della proporzione globale, mai vista prima. Raccontava una
storia di progresso che era acutamente diversa da quella raccontata
dalla sinistra. La narrativa della sinistra vedeva il socialismo come il
successore naturale dell’Illuminismo: un sistema razionale che sanciva i
diritti economici e sociali avrebbe completato il lavoro della
democrazia politica. La narrativa dei neoliberali era diversa: il
mercato globale stava per ottenere un’era senza precedenti di libertà
individuale. Questo sviluppo era impedito da regole e regolamentazioni
imposte dallo stato. Tassando le persone si tassava anche
l’imprenditorialità, l’innovazione e lo sforzo individuale. Secondo
questa visione, il socialismo in tutte le sue forme era stato
meritatamente sconfitto dato che era, ed è, illiberale, dogmatico e
inefficiente. Mentre scrivo, i partiti socialdemocratici tradizionali
sono stati ampiamente sconfitti in Europa, e dove non lo sono stati è
per via di nuove formazioni (Syriza in Grecia e Podemos in Spagna) o per
la scelta di spostarsi verso la sinistra (in Portogallo dove i
socialisti hanno stretto un patto con la sinistra radicale, oppure in
Gran Bretagna, dove il Partito Laburista ha eletto Jeremy Corbyn come
proprio leader).
I cosiddetti partiti "populisti" che sono emersi
nell’Europa dell’Est, in Italia e Francia (dove Marine Le Pen ha
ottenuto più del 30 percento nelle elezioni del 2017), e che sono
potenti anche in certi paesi scandinavi, sono contro gli immigrati,
anche se un’implementazione rigida dei principi neoliberali sosterrebbe
il libero movimento della manodopera. Lo scarso rendimento della
sinistra e la modestia dei suoi obiettivi sono ancor più sorprendenti se
si considera che gran parte dei sondaggi dimostra che la maggioranza
(più del 70 per cento) degli europei è consapevole che il divario tra
ricchi e poveri è aumentato, che il sistema economico contemporaneo
favorisce i benestanti e che le diseguaglianze rappresentano un grave
problema. Le prospettive per la sinistra, che non vuole o non è in grado
di capitalizzare tali opinioni e difendere i diritti economici e
sociali del passato, sono cupe. I suoi partiti sono stati obbligati a
mettersi sulla difensiva e hanno poco di nuovo da proporre, ma una
strategia difensiva può reggere solo se è temporanea. Lo scopo della
politica tuttavia è quello di vincere, non di stare ferma.