Repubblica 25.11.18
L’intervento sulla resistenza civile
Quando si può disobbedire
di Roberto Esposito
Gustavo
Zagrebelsky conclude il suo editoriale di ieri con un richiamo alla
disobbedienza civile che, in casi estremi, è « una virtù » . Si tratta
di un’espressione che colpisce per la sua radicalità, anche se
certamente adeguata al momento che vive il nostro Paese. Ma intanto, che
cos’è la disobbedienza civile? Si tratta di una nozione situata al
limite dell’ordinamento giuridico, laddove legalità e legittimità
sembrano entrare in tensione. Disobbedienza civile è un atto che può
confinare con l’illegalità, ma allo stesso tempo politicamente
legittimo. Hannah Arendt, in un celebre saggio del 1970, la rivendica
come necessaria, ma insieme ne definisce le condizioni e i limiti. Nel
momento in cui la guerra americana in Vietnam stava diventando
un’inutile carneficina, la disobbedienza civile diventava l’unica
possibilità di arrestarla, trasformando i movimenti per i diritti civili
in resistenza.
Ma perché una forma di resistenza, ovviamente non
violenta, alla legge possa essere considerata disobbedienza civile
occorrono per la Arendt almeno tre condizioni. Innanzitutto essa non
deve essere un atto individuale, come ad esempio l’obiezione di
coscienza, ma coinvolgere un gruppo abbastanza ampio di cittadini. In
secondo luogo deve essere dichiarata alla luce del sole da persone
consapevoli delle proprie scelte e delle loro possibili conseguenze. E
infine deve essere disinteressata. Deve cioè nascere non da interessi
individuali, ma da opinioni e valori che riguardano l’intera
collettività. In questo caso la disobbedienza civile acquisisce
legittimità politica. Naturalmente, come scrive Zagrebelsky, in casi
estremi.
Quali sono questi casi? È inutile precisare che la
situazione italiana non è confrontabile con quella americana degli anni
Settanta. E, tantomeno, con stagioni e luoghi ancora più lontani, come
quello che richiama il nome di Gandhi, anch’egli a suo modo teorico di
una forma di disobbedienza civile. Ma la disobbedienza civile, se tenuta
nei confini suddetti, può diventare legittima anche nel caso in cui una
maggioranza di governo tenda a sconfinare in quella che Tocqueville
chiamava «dittatura della maggioranza ». Oppure quando alcuni atti
governativi rasentino l’incostituzionalità. In questo caso, come scrive
anche John Rawls in un altro classico del pensiero politico, la
disobbedienza civile, tutt’altro che ferire la Costituzione, può
diventare « un meccanismo di stabilizzazione del sistema
costituzionale». Certamente il rapporto dei cittadini con le leggi è
questione estremamente delicata. Ciò vale per il singolo individuo come
per gruppi e associazioni organizzati. Ma anche il governo, per quanto
regolarmente eletto, ha dei limiti che vanno rispettati.
Il primo
dei quali sono i diritti umani di tutti coloro che in forma permanente o
temporanea abitano il territorio italiano – anche se non forniti della
cittadinanza. Essi vanno salvaguardati e protetti da parte di qualsiasi
governo in carica. Il secondo è la libertà di parola e di stampa,
garantita oltre che dalla Costituzione italiana, da una norma universale
al cuore della civiltà europea. Il terzo principio è quello
dell’interesse del Paese. Sul piano interno ed internazionale. Nessun
governo può stravolgere la politica estera di uno Stato membro di
organismi e alleanze internazionali senza aver prima espresso i propri
propositi e chiesto l’approvazione in Parlamento. Ciò vale tanto più in
un momento in cui l’ordine geopolitico mondiale subisce delle scosse che
richiedono la massima prudenza e responsabilità. Ma dell’interesse
nazionale fanno parte anche il tessuto sociale e l’equilibrio economico.
Nessuno dei due può essere adoperato come strumento di lotta politica
interna o, peggio, di strategia elettorale. Col risultato di portare
l’Italia all’isolamento o alla bancarotta. In questo caso il
riferimento, certo estremo ma controllato, alla disobbedienza civile può
diventare inevitabile. C’è un punto aldilà del quale non è possibile
restare inerti. Mi pare che stiamo per varcarlo. Quanto è avvenuto
recentemente in alcune piazze, estremamente civili, a Torino e a Milano
costituisce un richiamo più forte di quello che per ora viene dai
partiti di opposizione. Sarà bene ascoltarlo.