Repubblica 24.11.18
La Costituzione e il fantasma del fascismo
Basta con il silenzio è venuto il tempo della resistenza civile
A chi esalta la forza si opponga la mitezza, alla violenza la solidarietà, fino alla disobbedienza che può essere una virtù
di Gustavo Zagrebelsky
Un
dato culturale assai significativo è che si discute oggi sempre meno di
Costituzione e sempre più di fascismo. È uno spostamento
dell’attenzione da una forma giuridica (la Costituzione) a una sostanza
politica (un regime).
«Forza normativa del fatto», dicono i
giuristi quando il «fatto compiuto», o che si sta compiendo, scalza il
diritto o lo predispone alla resa.
Questo spostamento spiega il silenzio di tanti giuristi, fino a qualche tempo fa alquanto loquaci (tra i quali io stesso).
Cambia
l’oggetto e cambiano gli interlocutori: occupano la scena i politologi,
gli storici, i sociologi, i giornalisti, i politici, la gente comune.
Tutti, insomma, meno che i costituzionalisti. Sembra che il loro oggetto
stia evaporando. La loro voce, se è critica, si perde come un fruscio
fastidioso nel rumore dominante. Per lo più, non merita neppure una
risposta.
Restano per ora i “custodi”, il presidente della
Repubblica e la Corte costituzionale. Essi sono organi della
Costituzione, ma fino a quando e fino a che punto potranno resistere
alla forza materiale che spinge all’omologazione?
Dunque, taceant
iurisprudentes in munere alieno e aspettino semmai l’avvento di tempi
nuovi, quando forse si richiederà la loro competenza per mettere in
forma il fatto compiuto. Che cosa accade quando la forza del fatto
insidia la forza della Costituzione?
Consideriamo che qualunque sistema di governo ha uno strato e un substrato.
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segue dalla prima pagina
Lo
strato è la superficie, il substrato è la sostanza. Lo strato è
fragile. Il substrato, invece, è molte cose pesanti: valori e interessi,
rapporti di dominanza e sudditanza, interessi e bisogni, speranze e
disperazioni, credenze e illusioni, miti e credulità, amicizie e
inimicizie, altruismo ed egoismo, legalità e corruzione, sopraffazioni e
violenze, cultura e ignoranza: insomma, è per così dire il sangue misto
che scorre nelle vene della società, portando con sé forze diverse e
contraddittorie. Per definire la costituzione, si può dire ch’essa è una
selezione: promuove e condanna quanto nella società c’è di buono e
quanto di male, secondo ideali di giustizia storicamente vincenti. Ma il
progetto di selezione, per non essere campato per aria, deve essere
sostenuto da una società che, almeno prevalentemente, ci si identifica,
ci crede. A ogni regime politico deve corrispondere infatti un certo
tipo di società; lo strato deve appoggiarsi su un substrato coerente. La
costituzione democratica presuppone una società a sua volta
democratica. Non esiste democrazia politica se non c’è democrazia
sociale. Chi vuole destabilizzare la costituzione democratica, per poi
rovesciarla e costruirne una nuova su altre basi, sa bene che deve
incominciare dalla società. Si tratta per lui di amplificare il disgusto
per le immancabili corruzioni, di diffondere veleni che alimentano
paure, invidie, risentimenti, e giustificano così pulsioni autoritarie,
sopraffazioni, intolleranze, discriminazioni e violenze.
Facilissimo: questo vaso di Pandora è molto più facile scoperchiarlo che chiuderlo.
Ma
ciò che ne esce è fascismo? La controversia odierna su questo punto,
per non essere un esercizio propagandistico, deve considerare,
innanzitutto, che il fascismo è solo una tra le tante manifestazioni
storiche di qualcosa di assai più profondo, costante e radicato
nell’animo umano e nelle pulsioni sociali. Questo “ qualcosa” può
assumere forme storiche le più varie, pur avendo radici comuni. Noi e
l’Europa occidentale ne abbiamo conosciute alcune, non identiche ma
fondate su principi similmente antidemocratici: fascismo italiano,
nazismo, falangismo spagnolo, estado novo portoghese, ecc., sicché si
spiega che ancora oggi per indicare ciò che contrasta con la democrazia
si dica: fascismo!
Ma i nemici della democrazia sono proteiformi,
non necessariamente fascisti nel significato ch’esso ha assunto
storicamente. Si può essere antidemocratici senza essere fascisti. Non
tutto ciò che non ci piace è fascismo.
Questo giornale, il 2
luglio 1995, ospitò uno scritto di Umberto Eco che parla di “ fascismo
eterno” o di Urfaschismus ( il prefisso ur indica qualcosa di
originario, primordiale). I suoi caratteri sono riassunti così: identità
aggressiva e purismo etico; rifiuto della modernità e tradizionalismo
reazionario; rigetto dei principi dell’ 89 e dei diritti individuali;
irrazionalismo e primato dell’azione sulla riflessione e sulla
discussione; decisionismo; culto della forza e “ machismo”, anti-
parlamentarismo; ostilità nei confronti della libertà di scienza arte e
stampa, sospette portatrici di germi critici; esaltazione dell’uomo
medio e del senso comune; concezione del popolo come un tutt’uno
indifferenziato; corporativismo; intolleranza nei confronti dei “
diversi” e dei “ non integrabili”; xenofobia variamente motivata e
razzismo; pensiero unico e unanimismo; fantasmi di complotti;
nazionalismo ripiegato su se stesso contro internazionalismo e, a
maggior ragione, cosmopolitismo; complesso di unicità e di superiorità,
unito a vittimismo che sfocia in aggressività. Il linguaggio, a sua
volta, è l’ingrediente comunicativo pieno di sottintesi: parole nuove,
parole antiche in significati nuovi; parlar violento e plebeo di cose
difficili ed elevate; accarezzare l’ignoranza e la banalità di massa.
Non
necessariamente tutti compresenti, questi sono aspetti delle “ società
chiuse” o “ società organiche”, di cui il modello primordiale è,
propriamente, la tribù.
Sebbene talora si abbia l’impressione di
cose relativamente moderne, comparse nel secolo dei totalitarismi, sono
invece antichissime. L’archetipo è il tribalismo da sempre riemergente
in particolari situazioni storiche, ogni volta con caratteri propri, per
esempio con quelli del fascismo. Ciò significa che tutti i fascismi
sono tribalisti, ma non tutti i tribalismi sono fascisti. Donde la
deduzione: per mettersi il cuore in pace non basta dire che, data
l’incontestabile distanza della società odierna da quella del secolo
scorso, ciò che bussa alle nostre porte non è fascismo; possono battere,
uno dopo l’altro, gli ingredienti del tribalismo; ed è perfino peggio,
perché è facile illudersi che ci si fermi lì. Invece, uno dopo l’altro,
possono diventare una valanga. A forza di subire adeguandosi, si finisce
per diventare qualcosa che non si sarebbe voluto e, all’inizio, nemmeno
si sarebbe immaginato.
Resta la domanda: che fare?
Ritorniamo
da capo. Si sarà notato che tutti gli elementi del tribalismo stanno
anzitutto nel “ substrato” delle azioni e dei convincimenti sociali. Da
lì occorre procedere. A chi pretende di parlare a nome degli “ italiani”
e della loro “ identità”, si opponga il dissenso; a chi esalta la
forza, si oppongano il rispetto e la mitezza; a chi burocratizza la
scuola e l’università per trasformarle in avviamento professionale, si
oppongano i diritti della cultura; alle illegalità, si reagisca senza
timore con la denuncia; alla cultura della discriminazione e della
violenza, si contrappongano iniziative di solidarietà. Agli ignoranti
che usano la vuota e spesso oscena neo- lingua, si chieda: ma che cosa
dici mai, come parli? eccetera, eccetera. Fino al limite della
resistenza ai soprusi e della disobbedienza civile che, in casi estremi,
come ha insegnato don Milani, sono virtù.