Repubblica 23.11.18
Religione senza alternativa. E la scuola laica?
di Concita De Gregorio
Grazie a Claudia Simonetti, Roma
Gentile
Concita, mio figlio frequenta la prima elementare in un istituto
statale di Roma, una scuola pubblica, quindi. In questa scuola pubblica
due ore settimanali del programma scolastico sono dedicate
all’insegnamento della religione cattolica.
Nella prima riunione
dell’anno scolastico l’insegnante di riferimento ha illustrato a grandi
linee quale sarebbe stato il programma che avrebbe svolto con i bambini:
si sarebbe parlato soprattutto di Gesù, della sua nascita morte e
Resurrezione ponendo però l’accento più sulla Resurrezione per non
rischiare di spaventare troppo i bambini con l’argomento “morte”. Mio
figlio non si avvale dell’insegnamento della religione cattolica,
striderebbe con la totale mancanza di vita religiosa all’interno della
sua famiglia ( non è stato nemmeno battezzato) e dunque in quelle due
ore dovrebbe essere impegnato nella cosiddetta “materia alternativa”.
Ieri una delle maestre ha comunicato a me e agli altri genitori i cui
figli non frequentano religione che la materia alternativa prevista
ormai da un paio d’anni, incentrata sullo studio dei monumenti di Roma,
quest’anno non potrà svolgersi: manca l’insegnante preposta. Sarà dunque
lei, la maestra di matematica, a occuparsi dei bambini in quelle due
ore, portandoli in sala computer.
Tutto ciò mi lascia con l’amaro
in bocca. La scuola pubblica è per sua stessa definizione laica. Io
rispetto tutte le religioni e soprattutto rispetto chi ha una fede e
vuole educare i propri figli alla luce di quella, ma è una sfera che
attiene esclusivamente al privato, ai valori e alla vita familiare dei
singoli. Ciò di cui non mi capacito è che all’interno di un’istituzione
come quella scolastica sempre più carente nei rispondere alle
problematiche sociali delle nuove generazioni, non si possano impiegare
quelle due ore, o anche solo una, per attività che puntino maggiormente
alla crescita emotiva dei nostri figli, allo sviluppo della socialità,
al dialogo con gli stessi insegnanti in quanto rappresentanti del mondo
adulto, invece di dover scegliere tra il catechismo e un’attività del
tutto inutile.
Un esempio? Nelle scuole danesi a partire dai sei
anni una volta alla settimana si svolge l’ora di classe, in cui bambini e
insegnanti si confrontano e i bambini sono stimolati a esprimersi sia
su eventuali problemi della classe o dei singoli sia ad affrontare
questioni più ampie compresi la morte o il sesso (non vengono
considerati troppo piccoli per farlo); attraverso questa ora i bambini
vengono aiutati a conoscere maggiormente loro stessi e gli altri, e ciò
si è rivelato anche un prezioso strumento nella prevenzione del
bullismo.
Oggi ho ricevuto un messaggio nella chat di classe in
cui la rappresentante esponeva le problematiche espresse dalle maestre: i
bambini presentano scarsa autonomia, sostanziale assenza di regole e
hanno comportamenti eccessivamente infantili per la loro età. Noi
genitori siamo giustamente chiamati a cercare di prendere provvedimenti
in tal senso, ma a una mia richiesta di chiarimento sulla specificità di
questi problemi non ho ricevuto risposta. Spero che se ne parli almeno
durante le ore di religione”.