martedì 20 novembre 2018

Repubblica 20.11.17
I DEMOCRATICI AL BIVIO
di Piero Ignazi


Dopo nove mesi dalla sconfitta del 4 marzo, il Pd, forse, incomincia a discutere. Forse, perché una parte preferisce far finta di niente e continuare a rivendicare le tante cose belle fatte dai governi a guida democratica: come se le urne di marzo, e tutti i test elettorali precedenti e successivi, non avessero prodotto una sconfitta dietro l’altra. Alla fine di questa via crucis, forse, incomincia una riflessione critica sulle ragioni del declino democratico. I due elementi incontrovertibili della decrescita infelice del Pd da cui partire sono la perdita di contatto con i settori sottoprivilegiati, concentrati nelle piccole città e nelle periferie di quelle grandi, e la fuoriuscita di gran parte del proprio elettorato verso i 5stelle. Tutte le analisi post-elettorali concordano nel legare questi due fenomeni alla discesa nei consensi dei democratici. Ogni altra considerazione è accessoria. Ora, di fronte a questo quadro il partito può scegliere se " coltivare" l’elettorato residuo che è rimasto fedele, e che ha un profilo socio- demografico ben preciso ( e diverso dal passato), oppure cercare di recuperare quello che se n’è andato. I renziani sono i più convinti sostenitori della continuità: il Pd non ha sbagliato nulla, ha governato splendidamente, ha perso solo perché se n’è andata la vecchia guardia. E quindi va mantenuto uno stretto rapporto con quella componente acculturata, urbana, di ceto medio e medio-alto che ora costituisce la roccaforte del voto democratico. La tenuta di Milano ne sarebbe una conferma ( dimenticando però quanto è stato fatto dalla giunta di sinistra di Pisapia) Questa opzione è perfettamente in linea con le scelte – e le non scelte – dei governi Renzi e Gentiloni. Si tratta solo di accentuare i tratti liberisti e di mettere la sordina a varie politiche di welfare.
I tre candidati maggiori che si contendono la segreteria ( includendo qui anche Martina) non condividono questo impianto. Seppure con accenti diversi, sono tutti critici della passata gestione del partito e vogliono rimettere il Pd a contatto con gli strati in sofferenza della società adottando politiche adeguate ai loro bisogni. Tanto Martina quanto Minniti e Zingaretti sono intenzionati a chiudere la fase del renzismo : puntano ad archiviare una politica fondata sull’irrilevanza del partito come struttura, sul primato della comunicazione e sulla personalizzazione al quadrato e sulla rincorsa ai ceti emergenti, smart e cool. I tratti che accomunano i tre candidati ( anche quelli di Minniti) sono più forti delle loro differenze. E comunque le loro differenze sono minori di quelle che le separano da Renzi. L’ex segretario ne ha preso atto da tempo e ha già lanciato la sua nuova struttura, i Comitati Civici (significativa sigla di un modo democristiano non certo in linea con la tradizione del cattolicismo democratico presente nel Pd). Basta scorrere le pagine web di alcuni esponenti di questa corrente per vedere come la loro agenda sia fitta di impegni per costituire la rete dei Comitati. La separazione di percorsi è quindi già in atto. Vedremo quando sarà sancita. Azzardando una previsione, la rottura si concretizzerà quando la coalizione di governo incomincerà a incrinarsi seriamente. In quel momento verrà a galla l’altro nodo della questione democratica: che fare con il M5S. Se tutti i candidati , o il nuovo segretario, apriranno una fase di ascolto con i 5Stelle sostenendo i provvedimenti più ostici alla Lega per staccarli dall’abbraccio con Salvini, la strategia renziana dell’opposizione assoluta sarebbe sconfessata. In questo caso l’ex segretario avrebbe una ghiotta ragione politica per uscire; e aumenterebbe anche il suo seguito. Salvo poi ritrovarsi nello stesso dilemma del Pd. Con chi fare alleanze? Oltre a uno splendido isolamento in attesa di tempi migliori, o si torna a fare politica sporcandosi le mani con il M5S, o si va alla corte fatiscente del Caimano . Ma quest’ultima è una opzione possibile per il partito dei governi Prodi? O non rappresenta l’ultimo, devastante, tradimento di una storia?