Repubblica 20.11.17
I DEMOCRATICI AL BIVIO
di Piero Ignazi
Dopo
nove mesi dalla sconfitta del 4 marzo, il Pd, forse, incomincia a
discutere. Forse, perché una parte preferisce far finta di niente e
continuare a rivendicare le tante cose belle fatte dai governi a guida
democratica: come se le urne di marzo, e tutti i test elettorali
precedenti e successivi, non avessero prodotto una sconfitta dietro
l’altra. Alla fine di questa via crucis, forse, incomincia una
riflessione critica sulle ragioni del declino democratico. I due
elementi incontrovertibili della decrescita infelice del Pd da cui
partire sono la perdita di contatto con i settori sottoprivilegiati,
concentrati nelle piccole città e nelle periferie di quelle grandi, e la
fuoriuscita di gran parte del proprio elettorato verso i 5stelle. Tutte
le analisi post-elettorali concordano nel legare questi due fenomeni
alla discesa nei consensi dei democratici. Ogni altra considerazione è
accessoria. Ora, di fronte a questo quadro il partito può scegliere se "
coltivare" l’elettorato residuo che è rimasto fedele, e che ha un
profilo socio- demografico ben preciso ( e diverso dal passato), oppure
cercare di recuperare quello che se n’è andato. I renziani sono i più
convinti sostenitori della continuità: il Pd non ha sbagliato nulla, ha
governato splendidamente, ha perso solo perché se n’è andata la vecchia
guardia. E quindi va mantenuto uno stretto rapporto con quella
componente acculturata, urbana, di ceto medio e medio-alto che ora
costituisce la roccaforte del voto democratico. La tenuta di Milano ne
sarebbe una conferma ( dimenticando però quanto è stato fatto dalla
giunta di sinistra di Pisapia) Questa opzione è perfettamente in linea
con le scelte – e le non scelte – dei governi Renzi e Gentiloni. Si
tratta solo di accentuare i tratti liberisti e di mettere la sordina a
varie politiche di welfare.
I tre candidati maggiori che si
contendono la segreteria ( includendo qui anche Martina) non condividono
questo impianto. Seppure con accenti diversi, sono tutti critici della
passata gestione del partito e vogliono rimettere il Pd a contatto con
gli strati in sofferenza della società adottando politiche adeguate ai
loro bisogni. Tanto Martina quanto Minniti e Zingaretti sono
intenzionati a chiudere la fase del renzismo : puntano ad archiviare una
politica fondata sull’irrilevanza del partito come struttura, sul
primato della comunicazione e sulla personalizzazione al quadrato e
sulla rincorsa ai ceti emergenti, smart e cool. I tratti che accomunano i
tre candidati ( anche quelli di Minniti) sono più forti delle loro
differenze. E comunque le loro differenze sono minori di quelle che le
separano da Renzi. L’ex segretario ne ha preso atto da tempo e ha già
lanciato la sua nuova struttura, i Comitati Civici (significativa sigla
di un modo democristiano non certo in linea con la tradizione del
cattolicismo democratico presente nel Pd). Basta scorrere le pagine web
di alcuni esponenti di questa corrente per vedere come la loro agenda
sia fitta di impegni per costituire la rete dei Comitati. La separazione
di percorsi è quindi già in atto. Vedremo quando sarà sancita.
Azzardando una previsione, la rottura si concretizzerà quando la
coalizione di governo incomincerà a incrinarsi seriamente. In quel
momento verrà a galla l’altro nodo della questione democratica: che fare
con il M5S. Se tutti i candidati , o il nuovo segretario, apriranno una
fase di ascolto con i 5Stelle sostenendo i provvedimenti più ostici
alla Lega per staccarli dall’abbraccio con Salvini, la strategia
renziana dell’opposizione assoluta sarebbe sconfessata. In questo caso
l’ex segretario avrebbe una ghiotta ragione politica per uscire; e
aumenterebbe anche il suo seguito. Salvo poi ritrovarsi nello stesso
dilemma del Pd. Con chi fare alleanze? Oltre a uno splendido isolamento
in attesa di tempi migliori, o si torna a fare politica sporcandosi le
mani con il M5S, o si va alla corte fatiscente del Caimano . Ma
quest’ultima è una opzione possibile per il partito dei governi Prodi? O
non rappresenta l’ultimo, devastante, tradimento di una storia?