il manifesto 20.11.18
Insegnanti, aumenti minimi. Un miraggio gli stipendi europei
Legge
di bilancio. I primi numeri sul rinnovo del contratto per il pubblico
impiego smentiscono le promesse della campagna elettorale dei 5 Stelle
di Giansandro Merli
A
gennaio 2018, in piena campagna elettorale, Luigi di Maio aveva detto
che la scuola era in cima alle priorità del Movimento 5 stelle e che
l’adeguamento degli stipendi degli insegnanti ai livelli europei
costituiva una condizione necessaria per restituire prestigio e valore
alla loro professionalità. L’attuale vicepresidente del consiglio e
ministro del lavoro e sviluppo economico aveva assicurato che le risorse
per l’istruzione sarebbero aumentate fino al 10,2% del Pil, per
allineare l’Italia alla media Ue attraverso un incremento di 2,3 punti
percentuali della spesa pubblica. Tutto questo, aveva precisato, «nel
medio periodo».
NELLA LEGGE DI BILANCIO 2019, però, le risorse
stanziate sono totalmente insufficienti a raggiungere simili obiettivi.
Per adesso, di rifinanziamento complessivo del comparto di scuola e
università si è sentito parlare solo attraverso annunci-spot. Come
quello di una generica «tassa sui petrolieri», con introiti potenziali
da due miliardi di euro, menzionata a inizio novembre dal ministro del
lavoro e poi scomparsa dal dibattito. O la più recente proposta di
«sugar tax», un’imposta sulle bevande zuccherate capace di generare,
secondo le stime dell’esecutivo, fino a 300 milioni di euro.
All’università ne andrebbero un terzo. Una goccia nel mare dei 9
miliardi tagliati all’istruzione da Berlusconi e mai più rifinanziati
negli ultimi 10 anni.
PER IL RINNOVO DEL CONTRATTO del pubblico
impiego, invece, nell’aggiornamento del Documento di economia e finanza
(Def) è previsto lo stanziamento di 1,1 miliardi per il prossimo anno,
1,45 per il 2020 e 1,8 per il 2021. Con queste cifre gli stipendi dei
dipendenti pubblici, e quindi anche degli insegnanti e del personale
Ata, crescerebbero di pochi euro al mese. Le stime oscillano tra i 14 e i
40 euro mensili in più. Lordi, ovviamente. Si tratta di aumenti
inferiori alla metà di quelli garantiti dall’ultimo rinnovo
contrattuale, firmato dalla ministra Valeria Fedeli nella scorsa
legislatura. «I finanziamenti per l’incremento dei compensi di 3 milioni
e 300 mila dipendenti pubblici non tengono conto del blocco decennale e
dell’aumento dell’inflazione registrato negli anni» sostiene
l’Anief-Cisal, che chiede il riallineamento degli stipendi attraverso il
recupero del tasso di inflazione reale. Per l’Istat ammonta al 12%.
A
QUESTE POLEMICHE ha risposto ieri il ministro dell’istruzione,
dell’università e della ricerca Marco Bussetti, affermando che
l’esecutivo è al lavoro per scongiurare il taglio degli stipendi degli
insegnanti che sarebbe scattato a gennaio perché «il precedente governo
non ha stanziato abbastanza risorse durante l’ultimo rinnovo
contrattuale per mantenere gli aumenti previsti». Secondo il ministro il
cammino della legge di bilancio è appena iniziato e «ci sono tutti i
margini per inserire ulteriori risorse». Bussetti ha assicurato che
incontrerà i sindacati prima dell’approvazione della manovra e cercherà
«una pre-intesa in vista del rinnovo contrattuale».
NICOLA
FRATOIANNI, segretario nazionale di Sinistra italiana, è intervenuto
sulla questione dicendo: «Sulla scuola il governo fa promesse roboanti,
ma nulla di concreto. Se sarà confermato l’aumento di 14 euro per gli
stipendi degli insegnanti, fanno bene le organizzazioni sindacali ad
annunciare che non ci sarà nessuna trattativa».
I FONDI PER
SCUOLA, università e ricerca rimangono i grandi assenti della legge di
bilancio più chiacchierata degli ultimi anni. L’affannosa ricerca di
risorse nelle pieghe del provvedimento conferma l’esistenza di un
problema. Ne sono consapevoli gli studenti che nelle mobilitazioni
autunnali stanno chiedendo un «cambiamento» reale, che vada al di là
dello slogan usato dal governo.