il manifesto 20.11.18
Nativi e stranieri nella lotta comune contro i governi
Migranti.
A difesa di poteri e interessi, i signori della globalizzazione non
hanno messo in campo solo le armi, ma anche la mobilitazione sovranista,
nazionalista e fascista. Ma, nella lotta impari per la convivenza
pacifica, migranti e nativi hanno interessi che coincidono perché hanno
tutto da guadagnare a combattere il potere di chi ci governa
di Guido Viale
Nella
marcia degli honduregni verso gli Stati Uniti è difficile non
riconoscere il Quarto stato di Pelizza da Volpedo; e non vedere in quel
presentarsi disarmati e affamati a una frontiera anche la convinzione
che la Terra è di tutti. Dunque non solo la disperazione, ma anche la
rivendicazione di ripartire i beni che i signori della globalizzazione
rubano al loro paese, costringendoli a lasciarlo. Così come è difficile
non riconoscere nell’esercito mobilitato per impedire loro l’ingresso
negli Stati Uniti una riedizione dei cannoni con cui, sul finire
dell’800, il generale Bava Beccaris disperdeva e sterminava i
manifestanti che lottavano per il pane.
Questa è la versione
americana della guerra scatenata contro i migranti nel Mediterraneo per
farli affogare o respingerli nei Lager libici; o delle barriere e dei
respingimenti ai confini terrestri; o la cacciata dai centri di
accoglienza negando ogni forma di protezione. Insomma, tra coloro che
cercano di entrare nelle cittadelle del benessere (in gran parte alle
nostre spalle) e i poteri che si adoperano per respingerli si è aperto
un conflitto sociale o, se vogliamo, una “lotta di classe” di portata
planetaria, destinata a dominare il corso del secolo.
A rendere
opaco uno scenario così chiaro è il fatto che a difesa di privilegi e
poteri, i signori della globalizzazione hanno messo in campo non solo
armi e armamentari di ogni genere, ma anche la mobilitazione sovranista,
nazionalista, a volte fascista, ma comunque razzista, di una parte
crescente dei loro sudditi diretti: cioè noi, i nativi dei paesi meta
dell’“assalto al cielo” dei migranti. Gli interessi di migranti e nativi
non sono opposti: entrambi, in forme e in misura diverse, sono
sottoposti al giogo e allo sfruttamento della grande finanza che domina
il mondo. Ma, come già ai tempi del colonialismo e dell’imperialismo
(«ultima fase del capitalismo»; magari!), noi, quei “nativi”, siamo
l’unico referente delle tante sinistre che si pretendono nemiche dei
poteri mondiali. Per loro i migranti sono solo un “intoppo”, un problema
marginale; così ci rendono ostaggi del capitale che fingono di
combattere.
Oggi il conflitto sociale che oppone i poteri che
governano la Terra alle genti in cammino che vorrebbero riappropriarsene
è una lotta per l’egemonia su una “zona grigia” che siamo noi, i
nativi. Questo spiega come mai in aiuto dei poteri che dominano un mondo
ormai globalizzato siano stati mobilitati sovranismi, nazionalismi e
fascismi che non ne sono certo i nemici, bensì il supporto più sicuro,
l’unico in grado di far argine alle rivendicazioni, ma soprattutto ai
corpi e alle vite, delle genti in cammino che chiedono di condividere
con noi i beni loro sottratti.
Quanto a noi nativi, quell’egemonia
l’abbiamo lasciata in mano al nemico: e tanto più quanto più pensiamo
che per sottrargliela bastino proclami e misure che non fanno i conti
con il contesto generale del conflitto, perché considerano solo i pro e i
contro immediati: l’offa avvelenata che dovrebbe proteggere la
“nazione” da entrambi: grande capitale e migranti.
Oggi, a
sostegno dei poteri che dominano il mondo c’è uno stuolo di loro
rappresentanti in quasi tutti i campi della politica, delle professioni,
dell’accademia, delle forze di repressione. Mentre a sostenere ragioni e
corpi delle genti che premono sui confini delle cittadelle di un
benessere ormai evanescente non c’è per ora che un papa che predica
sempre di più al vento, impigliato com’è nel roveto di interessi, vizi e
corruzione dell’organizzazione di cui è capo; e le mille organizzazioni
della solidarietà – quelle che operano sia ai confini di mare e di
terra per salvare vite, sia nell’accogliere senza rubare, sia nei
processi di inclusione sociale – criminalizzate da una persecuzione che
non dà tregua.
E’ una lotta impari, come agli albori del movimento
operaio, quando un “volgo” disperso e disorganizzato si scontrava con
un apparato militare convertito dalla guerra al nemico esterno a quella
al nemico interno. Ma è qui che si decidono collocazione e compiti
immediati e futuri di ciascuno: dare voce a chi non ce l’ha per
consegnar loro un’egemonia culturale e politica su quella zona grigia
che siamo noi; in nome di, ma sempre più anche insieme ai migranti che
oggi sono l’antitesi dello stato di cose presente.
Dimostrare con
la pratica che gli interessi profondi di nativi e migranti coincidono;
che entrambi hanno tutto da guadagnare minando il potere di chi ci
governa. Tutto ciò – va ricordato – sullo sfondo di cambiamenti
climatici, disastri ambientali, guerre e sconvolgimenti sociali che sono
all’origine sia della fuga di milioni di persone dalle terre che
abitavano da secoli, sia del potere di un pugno di satrapi sordi di
fronte ai rischi della devastazione del pianeta. Perché le maggiori
vittime di questo dissesto di dimensioni planetarie sono i poveri della
Terra.