Repubblica 2.11.18
Il commento
La sinistra senza partito
di Nadia Urbinati
La
discussione sulla fine della Sinistra è attuale e necessaria perché
riguarda direttamente il destino della democrazia. Questo non è un modo
di dire generico, ma un fatto misurabile con una ricca messe di dati.
Dove la Sinistra è un partito organizzato, il populismo non sbanca.
L’intervista di Repubblica a Rossana Rossanda invita a essere letta in
questa prospettiva.
La questione non rientra nel fenomeno
sentimentale della nostalgia per quel che non c’è più. Rientra nel
pensare l’azione politica, che è interessata al futuro e per questo
vuole capire il passato. Sono tre i nuclei di riflessione che Rossanda
propone: la specificità; lo stile del discorso; la visione del mondo.
La
specificità della "parte" è stata il vero obiettivo sacrificale, a
partire dalla Bolognina ( che portò allo scioglimento del Pci e alla
nascita del Pds nel 1991) fino alla recente campagna elettorale. Il
metodo seguito è stato coerente all’obiettivo: voltare pagina, senza
avere però impostato il capitolo successivo; senza aver metabolizzato la
critica al passato e di lì derivare la necessaria revisione. Invece è
stato un terremoto devastante, una rivolta contro il partito politico.
Che non ha contribuito al mutamento della Sinistra tradizionale. L’ha
sepolta con un esercizio di centrismo. Anche di lì è partita la strada
che avrebbe portato al populismo. Fine della specificità, celebrazione
della genericità. E un partito pigliatutto che non piglia più nulla è il
non lieto fine della favola del partito genericamente democratico che,
proprio per voler essere solo questo, non riesce a far da diga a chi
democratico lo è davvero poco: i nazionalisti, gli xenofobi, i razzisti.
Affondato il centro resta una polarizzazione governata solo in una sua
parte, poiché l’altra parte non ha specificità.
Lo stile del
discorso segue a ruota, la sfera pubblica che si fa, nello stile, una
espansione di quella privata. La politica vuole essere comprensione per
ragioni e scopi pratici che includono gli altri, i quali sono a noi
estranei e tuttavia "amici" come cittadini. Rispettare questa condizione
di socievole antagonismo è essenziale perché le parti si manifestino
nelle loro differenze, e creino un clima dialettico. Lo stile segue il
contenuto: senza specificità dei contenuti tutto si traduce in ricerca
di parole efficaci, che sono spesso e volentieri offensive. Lo stile
viene deciso dall’audience, il vero sovrano. Quindi linguaggio a
effetto, che ricusa ogni analisi delle questioni, che si ferma alle
tattiche del qui e ora, alla caratterizzazione dell’avversario, al gioco
di parole.
La visione del mondo è conseguente. Stile semplice,
plebeo quasi, e senza alcuna attenzione alle implicazioni che non siano
quelle del gradimento personale. Non vi è nulla di meglio, dunque, che
trovare nemici assoluti e consolare. Così la Lega, dice in poche
efficaci parole Rossanda, racconta la favola che il lavoro è portato via
dall’immigrato; un fatto che non ha responsabilità nel sistema ma in
altri nemici (la Ue) e così via, nemici dopo nemici. E di fronte a
nemici totali vale solo la "consolazione" della rabbia (aizzata sempre).
La
visione del mondo, a destra come a sinistra, è uno specchio di questo
mondo senza visione: che cosa rende il Partito democratico diverso?
Nessuno lo saprebbe dire, salvo cercare di imitare un poco la Lega (
sulla politica dell’immigrazione), e un poco i Cinque stelle (nelle
proposte di aiuto ai giovani o alle famiglie). Dove sta la differenza
non si capisce, perché dal suo Dna è stata da anni espunta la
progettualità della "difesa dei più deboli" per consentire dignità di
cittadinanza (art. 3 della Costituzione). Questo a Sinistra " non lo
pensa più nessuno" e lo si vede dal non discorso sulle politiche del
lavoro e redistributive. Distribuire sussidi è certo necessario perché
emergenziale. Ma non è una risposta politica all’economica post-
industriale. Non è progetto di difesa della democrazia sociale. Non è
nulla di specifico