Repubblica 19.11.18
L’intervista
Il genoma secondo George Church
"Così voglio ringiovanire le cellule. Amo stupire, non gioco a fare Dio"
di Rosita Rijtano
BOSTON C’è chi lo accusa di giocare a fare Dio. Lui ribatte: «Sciocchezze».
Ma l’associazione è inevitabile, quando George Church apre la porta dell’ufficio e sovrasta tutti dall’alto dei suoi due metri.
Pioniere
della biologia di sintesi, "la scienza che altera selettivamente il Dna
degli organismi", Church ha avuto un ruolo chiave nello sviluppo di
Crispr/Cas9: la tecnica al momento più semplice per correggere uno o più
geni in qualsiasi cellula. Coautore di oltre 400 pubblicazioni
accademiche, ha fondato decine di startup e a 64 anni non intende
rallentare.
Ora sfida l’invecchiamento, provando a spostare indietro l’orologio delle cellule.
La
sua "chiesa" è una piccola stanza al secondo piano del New Research
Building di Harvard, a Boston. Sul tavolo statuine di elefanti, molecole
stampate in 3D e i libri di Walter Isaacson, il biografo che ha scritto
della vita di Einstein e Jobs, tra gli altri: «Li ha lasciati lui, ne
sta valutando uno su di me». Perché Church incarna anche l’idea del
genio e sa attirare l’attenzione con esperimenti fantascientifici, tanto
che Time l’ha inserito tra le 100 persone più influenti del 2017. Il
genetista alza le spalle e, lisciando la biblica barba che contribuisce
al mito, confessa: «Amo stupire».
A che punto è il tentativo di creare un embrione ibrido di elefante/mammut?
«Quest’anno
pubblicheremo i primi risultati. L’obiettivo è consentire all’elefante
asiatico di vivere senza problemi nell’Artico, salvandolo
dall’estinzione. Abbiamo stilato una lista di 44 geni utili, sia di
elefanti antichi che moderni».
Cos’altro sogna di fare?
«Creare
organismi resistenti a tutti i tipi di virus. Ci siamo già riusciti con
l’Escherichia coli, un batterio intestinale, e ci stiamo provando con i
maiali e con l’uomo. Poi, lavoriamo a tecniche per invertire
l’invecchiamento».
Che intende?
«La maggior parte delle
malattie che uccide gli umani nei paesi industrializzati non colpisce i
20enni, ma gli anziani. Perciò bisogna spostare indietro l’orologio
delle cellule, farle tornare giovani.
Perché si proteggano da quei danni che le cellule di un 80enne, invece, non riescono a fronteggiare».
E questo è possibile?
«Certo,
l’abbiamo dimostrato sui topi, modificando due geni che agiscono su
quattro malattie legate all’invecchiamento: l’obesità, il diabete,
nonché patologie cardiache e renali. Ora lavoriamo sui cani. Li abbiamo
scelti perché fanno una vita simile alla nostra ed è facile capire se la
terapia funziona o no. Anche in questo caso, il prossimo obiettivo
siamo noi».
Lei non crede a una linea di demarcazione netta tra la
possibilità di adottare l’editing genetico per evitare le malattie e
per il potenziamento degli esseri umani. Dove ci si deve fermare?
«Va
regolato il risultato, non il meccanismo. Bisogna chiedersi se mette a
rischio la sicurezza di tutti, se risolve o meno un problema sociale e
se è equamente distribuito tra la popolazione o avvantaggia solo i più
ricchi. Rispondendo a queste domande, traccio la linea».
Negli
ultimi 10 anni la nostra capacità di leggere, scrivere e modificare il
Dna ha fatto un balzo in avanti. Come Crispr ha cambiato questo
scenario?
«In realtà, penso sia solo una componente minore. Piace
perché fa notizia. Ma, al momento, stiamo usando otto modi diversi per
scrivere e modificare il Dna. Crispr lo paragono a un’accetta: è ottimo
per distruggere i geni, però non per fare del lavoro di precisione.
Funziona
meglio in alcuni casi, meno in altri. Non credo che vincerà nel lungo
periodo. Anzi, per certi versi è già superato. Per esempio, in molti dei
lavori più radicali, per cambiare molteplici posizioni nel genoma,
abbiamo sfruttato altre tecniche».
Con i suoi progetti spera di convincere le persone a sequenziare il loro genoma.
Perché è così importante?
«Lo
paragono alle cinture di sicurezza: le metti perché sai che ti
salveranno la vita in caso di incidente. Lo stesso vale per il
sequenziamento, cioè la lettura del Dna: è d’aiuto per prevenire la
trasmissione di malattie genetiche, patologie cardiovascolari o
oncologiche».
Questi dati, però, possono anche essere usati contro di noi.
«Il mio genoma è pubblico. E finora nessuno l’ha mai usato contro di me».
Lei ha sofferto di dislessia e soffre di narcolessia. Ha detto che «la neurodiversità andrebbe abbracciata». Che intende?
«È
sbagliato stigmatizzare i disturbi mentali. Poi, per esempio, abbiamo
valide ragioni per credere che chi soffre di lieve mania è molto bravo
nel suo lavoro, perché gli dedica più attenzione. E che narcolettici e
dislessici possono essere bravi in tantissimi ambiti».
Come la scienza.