Repubblica 17.11.18
Le nuove piazze
Studenti e uguaglianza
di Eraldo Affinati
Chi
tocca la scuola si brucia: lo sappiamo. Ma perché tutti i governi che
si sono succeduti negli ultimi anni proprio su questo nodo cruciale
hanno fallito pagando salato anche in termini elettorali? Eppure si
tratta del tema dei temi: in quale altro luogo noi adulti dovremmo
esercitare la responsabilità del futuro? Come scrisse Dietrich
Bonhoeffer, il grande teologo tedesco fatto impiccare da Adolf Hitler
pochi giorni prima della fine della Seconda guerra mondiale: «Per chi è
responsabile la domanda ultima non è: come me la cavo eroicamente in
quest’affare, ma: quale potrà essere la vita della generazione che
viene».
Gli studenti che stanno manifestando in tutta Italia per
chiedere più finanziamenti al comparto dell’istruzione hanno le idee
molto chiare: vogliono realizzare la tanto decantata «uguaglianza delle
posizioni di partenza » che, prima ancora di essere il fiore
all’occhiello del nostro dettato costituzionale, rappresenta a ben
pensare la mina vagante della cultura novecentesca: dare a ogni bambino,
a qualsiasi ragazzo, le medesime possibilità di affermazione. Fare in
modo che tutti possano accedere alle fonti del sapere.
Crediamo
che sia così? No, perché la famiglia di provenienza, ad esempio, conta
ancora troppo e può determinare, da sola, il destino dei giovani. Se i
tuoi genitori sono ricchi, puoi frequentare i corsi migliori, andare
all’estero, imparare le lingue, altrimenti ti devi arrangiare.
Il
mese scorso sono stato in due scuole: una storica paritaria al centro di
Roma, il " Villa Flaminia", l’altra un liceo scientifico statale di
Napoli, il " Renato Caccioppoli", che accoglie iscrizioni da Scampia,
Secondigliano e dalle città limitrofe di Arzano, Melito, Afragola e
Casoria. Il primo istituto, che ovviamente chiede alle famiglie il
pagamento di una retta abbastanza significativa, assomigliava a un
college americano con campi di calcio, laboratori, auditorium,
biblioteche, bar e quant’altro. Intendiamoci: i ragazzi erano
straordinari, assolutamente consapevoli del loro privilegio, così come
gli insegnanti e i responsabili, animati da vera passione pedagogica.
Tuttavia, come non vedere la differenza rispetto alla scuola partenopea?
Lì ho parlato a un centinaio di studenti accalcati nell’atrio accanto
all’ingresso, senza microfono perché non funzionava. Poi li ho
accompagnati nel parcheggio, tra le lamiere delle automobili, l’unico
spazio dove potevano fare ricreazione. Ancora una volta ho ripensato a
Don Milani: non è cambiato niente! Pierino, il bambino avvantaggiato,
parte ancora venti metri prima di Gianni, quello che non ha nulla.
E
la mitica professoressa, quando mette i voti, se invece di premiare il
movimento registrato dai suoi studenti, verifica soltanto il traguardo
da loro raggiunto, continua a rischiare di fare le parti uguali fra
diseguali. Anche perché non soltanto i deboli hanno bisogno dei forti:
vale anche il contrario. In aula sì, ma pure nella vita.
Ieri i
manifestanti hanno reclamato interventi sull’edilizia scolastica: è una
vecchia questione che si ripropone ogni autunno, quasi anticipando le
occupazioni studentesche. Chi si limiti a liquidarla come un refrain
generazionale, sbaglia di grosso. Al contrario, si tratta della madre di
tutti i problemi legati all’istruzione.
E non illudiamoci che
riguardi unicamente le aree cosiddette a rischio. Molti famosi licei del
Belpaese cadono a pezzi. Urgono piani strutturali anche per rinnovare
lo spazio didattico e renderlo idoneo ad affrontare la rivoluzione
digitale che ha cambiato la testa dei nostri ragazzi e quindi anche il
modo di leggere, scrivere, apprendere. Non possiamo continuare a
propinare loro il vecchio schema cripto-ottocentesco con il docente
impegnato a spiegare il programma.
Se l’Italia non riparte, forse
dipende anche dalla mancanza di ruote: cos’altro dovrebbero essere le
scuole, se non questo? Tutti pensano allo spread che sale, alla crisi
economica, ai problemi finanziari, alle manovrette politiche. Io sono
più preoccupato dello sguardo triste e rabbioso di certi nostri
adolescenti abbandonati a se stessi, quelli che non leggono i giornali,
non guardano la televisione. Se non portiamo in salvo loro, ci perderemo
tutti.