martedì 13 novembre 2018

Repubblica 13.11.18
Atac in agonia ma non incassa 320 milioni
La lista dei debitori insolventi va da Palazzo Chigi allo stesso Comune E i creditori affilano i coltelli
di Daniele Autieri


Lasciato alle spalle lo spauracchio del referendum, Atac guarda al 19 dicembre quando i creditori saranno chiamati a votare il piano industriale, accettando le tempistiche previste per la restituzione del loro credito e dando così il via libera definitivo al concordato preventivo.
Ma la solvibilità dell’azienda rispetto alle promesse scritte nel piano dipende anche dalla capacità dei suoi manager di esercitare una pressione su un drappello silenzioso di soggetti sempre più convinti che la procedura fallimentare possa in qualche modo metterli al riparo dai loro obblighi. Sono i debitori di Atac: aziende, enti, istituzioni che devono soldi alla municipalizzata romana e che, con i loro ritardi e le loro omissioni, hanno recitato una parte importante nella crisi industriale e finanziaria del gruppo.
In tutto si parla di 320 milioni di euro che la società del trasporto pubblico dovrebbe incassare a vario titolo e che finora non si sono visti. La voce più consistente riguarda naturalmente il Comune di Roma che, nonostante una svalutazione dei suoi debiti verso Atac di 223 milioni di euro, è ancora indietro di 87 milioni. Il piano industriale allegato alle carte del concordato prevede che 68 milioni vengano restituiti dalla gestione ordinaria del Campidoglio entro il 2019 e i restanti 19 milioni da quella Commissariale non prima del settembre 2020. Nelle more del debito capitolino c’è di tutto, perfino 147mila euro che il Comune deve ad Atac dai tempi del Giubileo del 2015. Ma neanche questo esaurisce la conta degli arretrati che l’azienda non è mai riuscita a recuperare. Tra i debitori figura infatti anche la presidenza del Consiglio dei ministri che deve all’Atac 13,4 milioni di euro dai tempi del Giubileo del 2000, quando la municipalizzata intensificò il servizio per rispondere alle esigenze della incandescente mobilità cittadina. Denari che la società non vedrà mai e che, non a caso, sono stati svalutati quasi interamente. Oltre alla presidenza del Consiglio dei ministri, anche il ministero del Lavoro dovrebbe mettere le mani al portafoglio. Dal 2012 lo Stato accumula debiti nei confronti di Atac a causa del mancato rimborso dell’indennità di malattia: in tutto 35 milioni di euro, che vengono fuori dopo sette anni di mancati pagamenti.
In molti casi le amministrazioni non hanno pagato; in tanti altri l’azienda non ha saputo far valere il suo diritto; molte volte invece la prassi della compensazione debiti/crediti ha contribuito a confondere le carte.
Questo è accaduto nel rapporto con la Regione Lazio che, pur vantando diversi crediti verso Atac, ha accumulato un debito di 46 milioni di euro, 17 dei quali sono interessi maturati per i ritardi legati al pagamento del contratto di servizio.
La partita è aperta, e neanche il corposo rapporto compilato dai commissari giudiziali del tribunale fallimentare di Roma sembra aver trovato soluzioni convincenti. È certo che in molti, consapevoli della debolezza di Atac, hanno tergiversato rimandando a data da destinarsi il saldo dei loro debiti. Lo hanno fatto perfino tante "cugine" del gruppo Roma Capitale: Roma servizi per la mobilità, che deve alla municipalizzata 6,4 milioni di euro; Roma metropolitane (1,1 milioni); Zetema (711mila euro); Fondazione Musica per Roma (376mila euro) e insieme ad esse molte altre aziende, fino ad arrivare al Bioparco che — secondo la ricostruzione dei commissari — non ha mai saldato un vecchio debito di 2mila euro.
Pochi soldi che, sommati al resto, compongono la torta dei 320 milioni, una boccata d’ossigeno per Atac che — giunta a un passo dal fallimento — sembra aver rinunciato a tutto. Perfino al dovuto.