Repubblica 13.11.18
Arresti negli atenei a Pechino
La stretta cinese sull’opposizione riparte dalla Meglio gioventù
Studenti al fianco di operai, regime preoccupato in vista dell’anniversario di Tienanmen
di Filippo Santelli
PECHINO
Racconta un testimone che venerdì una decina di persone in abiti scuri
si sono avvicinate a Zhang Shengye mentre camminava nel campus
dell’Università di Pechino, lo hanno picchiato e trascinato dentro una
macchina. Faceva troppo chiasso Zhang da quando si era messo alla
ricerca dei suoi compagni di militanza arrestati e spariti nel nulla.
Così lo scorso weekend si sono portati via pure lui, con una decina di
studenti e attivisti di altre università d’elite del Paese: Canton,
Shanghai, Shenzhen. Troppo marxisti per la Cina di Xi Jinping, maoisti
addirittura. Tanto votati alla causa da essersi schierati a fianco degli
operai in sciopero. Un sodalizio che il Partito non può tollerare a
pochi mesi da un delicato doppio anniversario, i cento anni del
movimento del 4 Maggio, il risveglio dell’orgoglio nazionale, e i trenta
da Piazza Tienanmen.
Il rastrellamento nei campus è l’ultimo giro
di una vite che ha cominciato a stringersi in estate, quando un
gruppuscolo di 50 studenti, guidato da una ragazza di nome Yue Xin,
sempre Università di Pechino, ha raggiunto la città meridionale di
Huizhou per sostenere gli operai della Jasic. Sciopero diverso dai tanti
che si vedono nel Paese, perché aveva dato vita a un sindacato
autonomo. Di quei giorni restano le foto dell’appartamento in cui i
ragazzi dormivano e qualche battuta con Reuters in cui Yue, neolaureata
in Lingue straniere, spiega di non voler sovvertire il sistema, solo
garantire più diritti per i deboli. Comunque troppo: il 24 agosto la
polizia irrompe nella casa e arresta tutti. Alcuni vengono liberati; dei
capi come Yue, che qualche mese prima era anche diventata la paladina
del movimento #MeToo nel campus, non si hanno tracce da allora. Tracce
che Zhang e i compagni stavano cercando.
« La violenza di questa
reazione mi stupisce», commenta Ivan Franceschini, ricercatore
all’Università Ca’ Foscari di Venezia esperto di tematiche del lavoro in
Cina. «Le autorità stanno ingigantendo una vicenda che coinvolgeva
qualche decina di studenti » . Segnale di paranoia, di una serie di
nervi ancora scoperti. L’alleanza tra studenti d’elite e operai. E poi
quel luogo, Beida, l’Università di Pechino, dove ogni rivolta è sempre
iniziata. Dalla fine di ottobre ha un nuovo segretario di Partito, il
vero leader dell’ateneo: Qiu Shuiping, uomo che viene dall’apparato di
sicurezza. In diversi campus è stata vietata la registrazione di
confraternite marxiste. Chiedendo di restare anonimo, un professore
racconta di una cappa sempre più pesante negli atenei di punta del
Paese, tra studenti invitati a denunciare i professori " pericolosi" e
lezioni riprese con le telecamere. Un paio di settimane fa la Cornell
University ha interrotto un programma di scambio con l’Università del
Popolo di Pechino denunciando la censura del dibattito sui diritti dei
lavoratori. Si vedrà se altri atenei stranieri con partnership in Cina
la seguiranno. Se come molti analisti ritengono nelle università c’è
un’insofferenza crescente verso la stretta autoritaria, resta lontana
dal cristallizzarsi in un’opposizione. « Questi episodi hanno risonanza
all’estero - dice Franceschini - ma non credo la causa degli studenti
maoisti possa averne all’interno».