La Stampa 13.11.18
La Treccani nel cestino, uno spreco senza alibi
di Marco Zatterin
Spuntava
fra il coperchio giallo e il resto del cassonetto grigio, glorioso per
la familiare livrea nera e i fregi dorati, la copertina inconfondibile
anche nella fioca luce dell’unico lampione. Aperto il bidone, il volume
si offriva con intatto splendore, tragicamente non isolato. Sotto ce
n’era un secondo, un terzo e altri ancora, proprio come nei due bidoni
lì a fianco, riparati sotto la tettoia bagnata di pioggia. Lo spettacolo
suscitava emozioni forti e le impregnava di tristezza per il suo
terribile simbolismo. Qualcuno aveva appena buttato un’enciclopedia
Treccani nella spazzatura.
Facile invocare il «segno dei tempi» e
magari buttarla in politica. Inutile. Incontrare il monumento secolare
della conoscenza italiana alla prima fermata della linea che porta
all’immondezzaio ferisce il cuore di qualunque bipede implume italiano
dotato di sensibilità culturale. Magari c’è una ragione. Ognuno è libero
di far ciò che gli pare con le sue cose sinché non danneggia la libertà
altrui, ma se è una mancanza di rispetto per l’enciclopedia che ha
fatto la nostra storia si incappa in un crimine che progresso e
tecnologie - straordinarie e benvenute! - non possono giustificare.
Quella
Treccani che fa capolino dalla rumenta, dispersa con il solo rispetto
alle norme della differenziata, è un’immagine cruda come il corpo
assassinato che si rivela dal camion dei rifiuti in «Frenzy» di Alfred
Hitchcock. Non ne aveva più bisogno, il proprietario? Poco spazio?
Pigrizia? «Serve davvero?» si sarà domandato. Giusto quesito,
ammettiamolo. Del resto le enciclopedie sono state le prime a finire
invendute sulle bancarelle al cambio dell’era tecnologica.
L’informazione
è adesso facile, ed è un beneficio. Ci sono Google e Wikipedia a
portata di dito. Puoi sapere tutto in un secondo, soddisfatto sinché non
decidi di andare oltre. Basta cercare il nome di un personaggio famoso -
da Blücher a Schiele - per accorgersi che la prima linea di
informazione si ripete sistematicamente come la vita nell’«Invenzione di
Morel» e che, al decimo sito, ci si arrende al fatto che le novità si
assomigliano terribilmente. Non c’è davvero una seconda fase,
l’approfondimento consapevole. Esiste però il terzo livello, che sulla
rete consta di porte su mondi impensabili e archivi ritenuti
inaccessibili. In sintesi, abbiamo l’orizzontale generale e il verticale
complesso e profondo. In mezzo, poco o nulla.
Richiede impegno il
comporre la straordinaria mescolanza fra divulgazione e consultazione
che una Treccani portava nelle case degli italiani che se la potevano
permettere. Certo il web è comodo, rapido e abbondante. Tuttavia il
mondo è così cambiato che, mentre si buttano i libri e i giornali di
carta, il lato più oscuro e interessante della memoria storica abita
volumi nascosti o archivi remoti. Chiedete a un ricercatore per credere.
La
Treccani assolveva il ruolo di intermediatore perfetto, quello che
manca di sovente sulla rete: un’istituzione che certifica e firma le
voci e ne garantisce legittimità. Era (ed è) il marchio di qualità che
teneva lontane le fake-news. Sui libri, come sui giornali di qualità, si
trova una tutela che adesso è meno palpabile. Ci scopriamo con più
possibilità e meno certezze. Eugenio Montale, guardando al futuro,
arrivò a prevedere che saremmo finiti in «un carapace di parole» in cui
sarebbe stato difficile distinguere il vero dal falso. Senza conoscere
Internet, vedeva lontano.
Per questo è bello e buono che esistano
Wikipedia & Co, ma non per questo è saggio rinunciare alla
ciambella di salvataggio della memoria lunga e cartacea che custodisce
la fedeltà ai fatti e ci rende più reattivi. Chi getta una Treccani
avvelena un po’ tutti. Infligge un colpo al perfetto mondo in cui
l’orizzontale e il verticale sono in armonia. Si rende colpevole di un
libricidio senza appello, uno spreco privo di alibi. Senza contare che,
dice Abebooks.it, ha rinunciato a qualche migliaio di euro. O, in
alternativa, alla possibilità di far felice una delle biblioteche che
combattono assieme a noi contro una cultura troppo omogenea.