Repubblica 10.11.18
Il nuovo saggio di Alberto De Bernardi
Caro storico, quando è corretto usare la parola "fascismo"?
di Simonetta Fiori
È
legittimo evocare oggi il fantasma del fascismo? Di fronte al
sovranismo xenofobo che occupa lo spazio politico italiano ha senso
richiamare l’esperienza storica del regime mussoliniano? L’abuso della
parola "fascismo" – con il risvolto grottesco dei fascistometri e dei
giochi di società – sollecita la giusta reazione di molti studiosi che
ci richiamano a una corretta interpretazione della storia. È evidente
che al di là delle assonanze il paragone non regge: troppo distante il
collasso dello Stato liberale negli anni Venti del XX secolo dalla crisi
della democrazia nel XXI secolo riconducibile alla globalizzazione
dell’economia e del mercato.
L’allarme fascista suonato a vanvera –
obiettano questi storici – finisce per annacquare la carica totalitaria
del ventennio nero. E quando per "fascista" si intende tutto ciò che è
sgradevole, siamo completamente fuori dalla storia.
Già nel 1946
George Orwell lamentava che «la parola fascismo ha perso significato,
designando semplicemente qualcosa di indesiderabile».
La citazione
è contenuta in un’intelligente "saggina" ora pubblicata da Donzelli,
Fascismo e antifascismo, ad opera di Alberto De Bernardi, che ha
presieduto fino al giugno scorso l’Istituto storico nazionale della
Resistenza. De Bernardi appartiene al novero degli studiosi che respinge
con fondati argomenti l’accostamento del fascismo storico all’attuale
governo giallo-verde. Ma la sua critica si allarga anche all’uso
metastorico del fascismo praticato da Umberto Eco nel suo Eternal
Fascism – il discorso tenuto alla Columbia University nel 1995 – secondo
il quale esistono degli archetipi come l’esaltazione del sangue e della
terra, il disprezzo per la cultura, il razzismo, la paura del diverso,
l’antiparlamentarismo, l’irrazionalismo, l’antipacifismo, che come un
fiume carsico circolano nei bassifondi della storia europea. A De
Bernardi questa teoria dell’"Ur fascismo", del "fascismo originario ed
eterno", appare di grande potenza simbolica tuttavia rischiosa,
soprattutto nell’enfasi retorica e nei riflessi ideologici condizionati
che possono derivarne («se ogni avversario di oggi è la reincarnazione
di quello del passato, quale strategia si mette in atto per
sconfiggerlo?»).
Ma non rinuncia a farne oggetto di
un’interpretazione storica: la percezione così diffusa del fascismo è
comunque un fatto di cui lo studioso non può non tenere conto. E la sua
spiegazione del perché questi fantasmi resistano tenacemente
nell’immaginario di intellettuali, scrittori, giornalisti è affidata a
un lungo periplo intorno al fascismo e all’antifascismo nella memoria
pubblica italiana, con un approdo conclusivo: la difficoltà della
storiografia e delle culture democratiche di fare i conti con la
complessità dell’esperimento totalitario. Una difficoltà dispiegata in
due direzioni diverse e opposte: sia nel protratto disconoscimento della
modernità del regime mussoliniano sia nel suo annacquamento in banale
governo autoritario. Quindi la colpa del passato che non passa, secondo
De Bernardi, non è da attribuire solo a coloro che defascistizzano il
fascismo, ma anche a chi agita la bandiera dell’eterna Resistenza,
indicando piste false nel segno di un uso distorto della storia.
L’auspicio
finale è che la parola fascismo esca dal dibattito politico e che anche
l’antifascismo si risolva pienamente in "una democrazia senza
aggettivi" (in apertura De Bernardi definisce l’antifascismo un "di più
etico-politico" di cui non hanno bisogno i paesi di più matura
tradizione democratica come Germania, Francia o Stati Uniti). A parte la
raffigurazione a tratti caricaturale dell’antifascismo e della sinistra
intellettuale – non è solo quella che pascola tra i robivecchi
ripetendo luoghi comuni sulla maledizione antropologica degli italiani:
proprio nella storiografia italiana De Bernardi dovrebbe aver trovato
più di una smentita – il nodo insoluto della saggina risiede nella
mancata risposta a una domanda. Oggi l’Italia rischia di battere un
nuovo primato esprimendo nel ministro Salvini il leader europeo del
populismo sovranista xenofobo che minaccia Bruxelles. Così come negli
anni Venti del secolo precedente abbiamo inventato il fascismo
esportandolo nel mondo. E negli anni Novanta abbiamo dato avvio al primo
esperimento europeo di populismo telecratico con il volto sorridente di
Berlusconi. Un fervore innovativo – nell’ambito della politologia – che
pone una questione storiografica: esiste un filo rosso tra queste
diverse esperienze politiche? Non esiste affatto, trattandosi di
fenomeni storici incomparabili, ma allora come spiegare la nostra
persistente inventiva nel segno della fragilità democratica? E siamo
sicuri che il razzismo di oggi non abbia nulla a che fare con quello dei
padri fascisti colonizzatori e con il nostro mancato esame di
coscienza?
In attesa che gli storici provino a darci una risposta
convincente, ci teniamo stretto "il fascismo eterno" di Umberto Eco.
Sarà pure rischioso navigare con le tavole metastoriche, ma è difficile
non vedervi riflesso il buio di oggi.