La Stampa 10.11.18
Srećko Horvat
“Il fascismo non è mai morto
La destra impone la cultura”
di Francesca Paci
Srećko
Horvat ha il tempo contato: il voto Ue incombe e lui correrà con Diem
25, il movimento transnazionale che ha co-fondato 3 anni fa con
Varoufakis. Nato in Croazia nell’83, filosofo per studi e politico nel
sangue, Horvat è stimato tra le menti più acute della sua generazione.
L’egemonia culturale è passata a destra, ci dice in un bar londinese. Ma
la sfida è aperta (oggi aderisce all’European Balcony Project sostenuto
in Italia da EuropaNow).
L’onda nera avanza: è l’ora della rivoluzione illiberale?
«In
Europa è in corso una guerra civile. Ma non tra liberali e anti
liberali, come ha detto mesi fa Macron. È l’impotenza politica del
profondo establishment liberale europeo ad aver lasciato spazio alle
forze che si definiscono “asse dei volenterosi”, un’espressione di
Mussolini. Il fascismo non è rinato perché non è mai morto. Ciò a cui
assistiamo oggi, considerato il supporto tecnologico e
l’”internazionalismo” del fascismo da Trump a Bolsonaro, è un fascismo
più cupo di quello precedente».
Cosa vuole il popolo europeo, ammesso che esista?
«Viaggiando
ogni giorno in Europa posso dire che la gran parte del popolo vuole
essere lasciata in pace, chiede di vivere con denaro a sufficienza, un
lavoro degno, le ferie, chiede di non occuparsi dell’organizzazione
della politica. È comprensibile: la politica non lascia vita privata, il
popolo vuole il suo tempo e un leader che stabilizzi l’economia. Con
l’aggravarsi della crisi l’estrema destra, da Salvini a Orban a Trump, è
riuscita purtroppo a mostrarsi come la soluzione, ha preso in mano
l’egemonia culturale, si è inserita nell’interregno tra il vecchio mondo
dissolto e il nuovo non ancora emerso. Sinistra e liberali hanno
responsabilità enormi».
È ancora destra vs sinistra o piuttosto popolo vs élite?
«È
la guerra di classe. E i ricchi stanno vincendo. Non lo dice la
sinistra radicale ma un miliardario di nome Warren Buffet. Marx
sosterrebbe che abbiamo bisogno della poesia del futuro. Il fallimento
della sinistra sta nell’essersi sempre ispirata al passato mentre la
rivoluzione deve guardare al futuro. La sinistra radicale è sintomatica:
contro le privatizzazioni, ancorata al salario minimo e al welfare. Ma
quel mondo non esiste più. Oggi c’è altro, le nuove tecnologie, la sfida
ignorata dell’ambiente che nelle prossime decadi potrebbe portare in
Europa una vera marea di rifugiati».
Con quale coalizione correrà alle elezioni Diem 25?
«Per
ora sappiamo che saremo presenti in Grecia, Italia, Francia, Germania,
Polonia, Danimarca come parte di una più grande coalizione, la Primavera
europea. In alcuni Paesi tipo la Grecia parteciperemo col nostro
partito, Mera25, in Francia saremo in coalizione con Hamon, in Italia
stiamo ancora discutendo a quali condizioni correre e con chi ».
Diem 25 cita il popolo ma lo fanno anche Orban, la Lega, Trump. Quanti popoli vede?
«Il
popolo è un grosso problema. Lo è per Mélenchon, per Potere al popolo e
per chi segue il “populismo di sinistra”. L’idea di popolo è
problematica in sé perché rimanda a radici nazionali, perciò Mélenchon e
Le Pen si contendono la stessa gente. E poi c’è la politica del
costruire un nemico alla Carl Schmitt, l’idea della sinistra populista
che spesso sbaglia nemico. È un nodo teorico, Benedict Anderson e le
comunità immaginate: ma Nord e Sud Italia sono più diversi di quanto
siano Nord e Sud Europa. Che popolo? Noi pensiamo a una nuova politica
della soggettività transnazionale».
Al redde rationem: con Macron contro i sovranisti?
«Non
so se siamo ancora allo scontro finale ma ci stiamo avvicinando, maggio
2019 sarà una chiave di volta per l’Europa. Da una parte c’è “l’asse
dei volenterosi”, dall’altro la falsa alternativa rappresentata da
liberal e neoliberisti. C’è bisogno di un terzo spazio di azione che si
opponga davvero, la soluzione per noi non è uscire dall’euro zona o
alzare muri».
Le terze vie non hanno portato bene alla sinistra…
«Diem
25 non pensa solo alla sia pur importante cornice elettorale europea:
il voto di maggio è per noi un passo verso un cambiamento radicale sullo
scenario globale, con Bernie Sanders, con il Labour di Corbyn. A fine
novembre Sanders e Varoufakis annunceranno in Vermont la nascita di
“Progressive International”, appoggiata da molti movimenti mondiali
analoghi».