domenica 11 novembre 2018

L’Espresso 9.11.18
Depressione post-partum: un fenomeno anche maschile
di Chiara Simonelli

Il periodo perinatale è comunemente associato a sentimenti di gioia ed euforia per tutto il nucleo familiare. L’arrivo di un bebè generalmente porta con sé vissuti e aspettative da parte non solo dei genitori ma di tutti i partecipanti ad un contesto di relazioni familiari.
Diversi sono gli studi in letteratura che, ormai da moltissimi anni, hanno evidenziato le principali motivazioni di piacere legate alla nascita di un nuovo componente; dalla sensazione di un senso di “normalità” finalmente soddisfatta, alla gratificazione della continuità familiare.
Andando oltre questo primo aspetto della questione esiste, però, un lato molto meno esplorato e molto meno documentato che è quello dei sentimenti di sofferenza, disagio e difficoltà legati alla nascita di un figlio. La spiegazione di questo scenario apparentemente contraddittorio può essere trovata citando quello che Galimberti chiama “il mito dell’amore materno”; con esso, infatti, l’Autore rappresenta la tendenza di molte culture ad assegnare alla maternità un valore univoco di accoglienza, affetto incondizionato ed instancabile istinto amorevole; il lato critico di questa visione è rappresentato proprio dalla supposizione che ne viene fatta alla base: una donna, fosse anche alla sua prima esperienza di maternità, ha il compito implicito di essere “pronta” ed “abile” nel mettere in gioco tutte queste caratteristiche, senza alcun segno di difficoltà. Nei contesti in cui questa aspettativa è particolarmente rigida accade non solo che una giovane mamma si possa percepire incapace e inadeguata al ruolo, ma che la sua stessa identità di donna ne possa uscire sconfitta.
Guardando al fenomeno della genitorialità in modo più ampio, inoltre, le dimensioni di cambiamento individuale e di coppia che essa comporta possono avere un notevole impatto sulle risorse dei futuri mamma e papà. La nascita di un bambino, infatti, modifica profondamente le abitudini, i ritmi del sonno e del riposo, la relazione di coppia e gli aspetti legati all’identità (personale, lavorativa e sociale). Proprio perché tutti questi cambiamenti vengono considerati normali e vissuti dalla maggioranza delle persone, vengono chiamati “normativi”; il fatto, però, che siano diffusi non significa che siano facili da affrontare! Dalla “difficoltà”, inoltre, si può passare alla presenza di un vero e proprio periodo critico (noto come “depressione post partum”) in presenza di alcuni fattori specifici, quali: l’aver vissuto eventi particolarmente stressanti durante la gravidanza, la presenza di una relazione di coppia affettivamente fragile e poco collaborativa, un limitato supporto sociale, un livello socio-educativo basso, la mancanza di una posizione lavorativa solida e una storia di precedenti episodi depressivi.
Partendo dall’ipotesi che entrambi i genitori costituiscano una fonte di accudimento importante per il neonato, è stato recentemente analizzato il vissuto dei padri e l’impatto che esso ha sul benessere del nuovo nucleo familiare. Dai primi studi è emerso che le manifestazioni maschili di depressione post partum non ricalcano quelle femminili (che tendono verso la tristezza, la trascuratezza e la difficoltà a svolgere le attività di accudimento); esse, al contrario, sembrerebbero propendere più per la manifestazione di rabbia, ostilità e conflittualità e per la messa in atto di comportamenti di evasione (incrementare l’attività sportiva o le ore trascorse a lavoro) o di sfogo della tensione (uso di sostanze, comportamenti sessuali promiscui).
In un recente studio di Perez e collaboratori, pubblicato sul Journal of Men’s Health, è emerso che, seppur in una percentuale significativamente inferiore rispetto alla popolazione di madri, l’indice di depressione post partum dei padri riguardi più del 18% del campione analizzato. La difficoltà a definire con maggiore esattezza la portata del fenomeno deriva dal fatto che sia scarsamente indagato e dalle grosse differenze culturali e di genere a cui è legato. Gli Autori evidenziano come sia necessario rivedere i programmi di screening perinatale a cui sono sottoposti i genitori, in quanto attualmente non esistono questionari per la valutazione della depressione perinatale da somministrare ai padri.
Questo risulta importante non solo per accogliere la sempre più frequente richiesta dei padri di essere coinvolti nella nascita dei figli, ma anche per ripensare al concetto di “salute familiare” non come strettamente legato alle sole risorse materne.
Ringrazio per la collaborazione la Dott.ssa Elisabetta Todaro