L’Espresso 9.11.18
Depressione post-partum: un fenomeno anche maschile
di Chiara Simonelli
Il
periodo perinatale è comunemente associato a sentimenti di gioia ed
euforia per tutto il nucleo familiare. L’arrivo di un bebè generalmente
porta con sé vissuti e aspettative da parte non solo dei genitori ma di
tutti i partecipanti ad un contesto di relazioni familiari.
Diversi
sono gli studi in letteratura che, ormai da moltissimi anni, hanno
evidenziato le principali motivazioni di piacere legate alla nascita di
un nuovo componente; dalla sensazione di un senso di “normalità”
finalmente soddisfatta, alla gratificazione della continuità familiare.
Andando
oltre questo primo aspetto della questione esiste, però, un lato molto
meno esplorato e molto meno documentato che è quello dei sentimenti di
sofferenza, disagio e difficoltà legati alla nascita di un figlio. La
spiegazione di questo scenario apparentemente contraddittorio può essere
trovata citando quello che Galimberti chiama “il mito dell’amore
materno”; con esso, infatti, l’Autore rappresenta la tendenza di molte
culture ad assegnare alla maternità un valore univoco di accoglienza,
affetto incondizionato ed instancabile istinto amorevole; il lato
critico di questa visione è rappresentato proprio dalla supposizione che
ne viene fatta alla base: una donna, fosse anche alla sua prima
esperienza di maternità, ha il compito implicito di essere “pronta” ed
“abile” nel mettere in gioco tutte queste caratteristiche, senza alcun
segno di difficoltà. Nei contesti in cui questa aspettativa è
particolarmente rigida accade non solo che una giovane mamma si possa
percepire incapace e inadeguata al ruolo, ma che la sua stessa identità
di donna ne possa uscire sconfitta.
Guardando al fenomeno della
genitorialità in modo più ampio, inoltre, le dimensioni di cambiamento
individuale e di coppia che essa comporta possono avere un notevole
impatto sulle risorse dei futuri mamma e papà. La nascita di un bambino,
infatti, modifica profondamente le abitudini, i ritmi del sonno e del
riposo, la relazione di coppia e gli aspetti legati all’identità
(personale, lavorativa e sociale). Proprio perché tutti questi
cambiamenti vengono considerati normali e vissuti dalla maggioranza
delle persone, vengono chiamati “normativi”; il fatto, però, che siano
diffusi non significa che siano facili da affrontare! Dalla
“difficoltà”, inoltre, si può passare alla presenza di un vero e proprio
periodo critico (noto come “depressione post partum”) in presenza di
alcuni fattori specifici, quali: l’aver vissuto eventi particolarmente
stressanti durante la gravidanza, la presenza di una relazione di coppia
affettivamente fragile e poco collaborativa, un limitato supporto
sociale, un livello socio-educativo basso, la mancanza di una posizione
lavorativa solida e una storia di precedenti episodi depressivi.
Partendo
dall’ipotesi che entrambi i genitori costituiscano una fonte di
accudimento importante per il neonato, è stato recentemente analizzato
il vissuto dei padri e l’impatto che esso ha sul benessere del nuovo
nucleo familiare. Dai primi studi è emerso che le manifestazioni
maschili di depressione post partum non ricalcano quelle femminili (che
tendono verso la tristezza, la trascuratezza e la difficoltà a svolgere
le attività di accudimento); esse, al contrario, sembrerebbero
propendere più per la manifestazione di rabbia, ostilità e
conflittualità e per la messa in atto di comportamenti di evasione
(incrementare l’attività sportiva o le ore trascorse a lavoro) o di
sfogo della tensione (uso di sostanze, comportamenti sessuali
promiscui).
In un recente studio di Perez e collaboratori,
pubblicato sul Journal of Men’s Health, è emerso che, seppur in una
percentuale significativamente inferiore rispetto alla popolazione di
madri, l’indice di depressione post partum dei padri riguardi più del
18% del campione analizzato. La difficoltà a definire con maggiore
esattezza la portata del fenomeno deriva dal fatto che sia scarsamente
indagato e dalle grosse differenze culturali e di genere a cui è legato.
Gli Autori evidenziano come sia necessario rivedere i programmi di
screening perinatale a cui sono sottoposti i genitori, in quanto
attualmente non esistono questionari per la valutazione della
depressione perinatale da somministrare ai padri.
Questo risulta
importante non solo per accogliere la sempre più frequente richiesta dei
padri di essere coinvolti nella nascita dei figli, ma anche per
ripensare al concetto di “salute familiare” non come strettamente legato
alle sole risorse materne.
Ringrazio per la collaborazione la Dott.ssa Elisabetta Todaro