l’espresso 25.11.18
È l’età dei neo-cinici Trump, Putin,
Orbán. Sulla scia di Diogene, Socrate, Dostoevskij. Lo sguardo del
filosofo tedesco sui sovranisti di oggi
colloquio con Peter Sloterdijk
di Stefano Vastano
Se
provassimo a prenderli sul serio, a quale scuola filosofica
apparterebbero Trump e Salvini, Putin o Marine Le Pen? «Tutti i
sovranisti si rifanno ad una antropologia cinica e depressa», risponde
Peter Sloterdijk. Non è un caso se uno dei più prestigiosi filosofi
tedeschi torni alle antiche tradizioni del cinismo per inquadrare
«l’incoerenza performativa» in cui si cacciano oggi i sovranisti con le
loro spietate balle quotidiane.
Già nel 1983 infatti,
nel suo famoso saggio “Critica della ragion cinica”, Sloterdijk
ricostruiva, da Diogene di Sinope alle crisi della Repubblica di Weimar,
le varie derive del cinismo nella cultura e politica occidentale. E in
questa intervista esclusiva per “L’Espresso”, Sloterdijk ridisegna, in
tutte le sue aporie, la fenomenologia del sovranista trionfante, «che
altro non è se non il cinismo, ma nella sua forma più inconsistente
giunto al potere», sintetizza il filosofo. Il cui ultimo saggio, appena
pubblicato da Cortina Editore, si intitola non a caso: “Dopo Dio”.
Ripartiamo da Diogene di Sinope, il filosofo più sfrontato della storia.
Qual era il messaggio del padre di tutti i cinici?
«Il
messaggio di Diogene risale al nucleo più antico del pensiero greco e
cioè a una filosofia della Natura, da una oscura divinità - la Moira,
poi secolarizzata in “physis” - precedente all’Olimpo delle divinità!».
È
questa Natura che spinse Diogene a vagare nudo e solo come un cane per
le strade di Atene? «Con il suo comportamento Diogene riportava alla
luce la contrapposizione fra Natura e Nomos, le leggi e convenzioni
umane che altro non sono, ai suoi occhi, che appendici arbitrarie dell’
“ordine naturale” e di una vita ad esso ispirata».
Con la sua esistenza nomade e animalesca Diogene ridicolizza le norme sociali?
«
Sì, lui è una sorta di Charlot, un meteco o migrante dall’Asia minore
che non si piega alle norme della polis e della democrazia ateniese.
Diogene è il primo individualista radicale della storia che nell’Atene
platonica rivendica l’Anarchia della vita semplice. La maggioranza non
ha ragione, ecco il suo urlo».
Anche Socrate urlerà lo stesso
principio contro le tradizioni ateniesi, pagando persino con la vita...
«Già, ma in Diogene, contrariamente all’arte maieutica socratica e
contro l’astrazione platonica, è l’eccesso performativo, la pantomima
che conta e non il dialogo filosoico. Nella sua ultima lezione, Michael
Foucault analizzò la “parrhesia”, la sfrontata arte di affrontare - con
virile franchezza - l’autorità dell’avversario, anche il più potente.
Non è un caso se l’incontro tra Diogene ed Alessandro, in cui il
filosofo prega l’imperatore di togliersi dal sole, è uno degli aneddoti
più famosi dell’antichità».
Anche la filosofia dei Lumi, come il
Logos platonico, si basa sul presupposto per cui ogni sapere è potere.
L’attualità del cinismo sta nel smascherare come pia illusione questa
fede illuministica?
«Il cinismo rispunta ogni volta in cui la
politica della città entra in crisi e i valori comuni si sfaldano. In
questo senso il primo cinico dell’era moderna è il “Nipote di Rameau”,
lo spudorato adulatore che Denis Diderot mette in scena nel suo dialogo
satirico. Un buffone verace almeno quanto il Mefistofele di Goethe,
altra dissacrante figura nella galleria del moderno cinismo».
Nulla
in confronto al radicale cinismo del Grande Inquisitore, la figura che
Dostoevskij racconta nei Karamazov e che scaccia persino Cristo dalla
città...
«Il cinismo dell’Inquisitore di Dostoevskij è così
viscerale perché smentisce non solo l’equazione illuminista “Sapere è
Potere”, ma nega la premessa di ogni società liberale e
dell’antropologia occidentale. L’Inquisitore infatti sostiene l’oscura e
profondamente russa tesi secondo cui l’uomo è troppo cattivo per essere
libero. Per questo l’uomo non abbisogna di un Cristo, ma della mano
forte di una ascetica élite che garantisca quella costante repressione
senza cui presumibilmente la società non può sopravvivere. Inutile
specificare quanto questa politologia negativa sia la base su cui oggi
si regge il sistema di un Putin».
La sintonia tra il regime
autocratico di un ex spione del Kgb come Putin e le alte sfere della
chiesa ortodossa sono la realizzazione, nella Russia del 21° secolo,
della Leggenda di Dostoevskij? «Esatto, e la leggenda su cui Putin fonda
oggi il suo potere non ripete che l’altra ipercinica massima secondo
cui è il mondo stesso che altro non chiede che di essere ingannato».
Il
filo che unisce l’Inquisitore ad ogni demagogo di turno è il fatto che
autocrati come Putin sanno benissimo di mentire ai sudditi, ma nel loro
cinismo continuano beatamente a farlo?
«Quando un oligarca come
Putin declama le massime della sua negativa politologia sa benissimo che
sta mentendo. D’altra parte i due assiomi dell’Inganno come base della
politica e della Malvagità umana come negazione d’ogni libertà possono
esser le tesi anche di un dissidente disperato. Cos’è il cinismo o il
populismo di oggi se non la massima depressione al potere? Una radicale
depressione politica che l’astuto populista nasconde dietro un sistema
di bugie e una serie di maschere».
Benché onnipotenti i demagoghi hanno bisogno di nascondersi dietro sempre nuove bugie e maschere: perché?
«Perché
nessun populista, per quanto sadico e istrione, può davvero credere
nelle sue convinzioni o sentirsi in pace con se stesso. Oltre che sulla
depressione ogni suo atto e parola si fonda su uno iato o incoerenza
inerente alla sua stessa posizione. Donald Trump ad esempio è un
mefistofelico Maestro del neocinismo contemporaneo. Ma anche la sua
politica, altamente depressiva, si basa sul fatto che Trump deve mentire
quotidianamente, e non dar retta neanche per un minuto alle verità che
sistematicamente nega. Un presidente Usa che incarna alla massima
potenza il dramma dell’assoluta incoerenza del cinismo giunto al
potere».
Ma un potere che come questo si fonda su Fake News, cioè menzogne spacciate per “fatti“, non è il paradosso assoluto?
«Il
collante che dà coerenza ad ogni società è il fluido della fiducia. Da
un punto di vista operativo le società sono connesse dalla circolazione
del denaro e sulla fiducia che una vita in comune esista. Sia il denaro
che i valori però conoscono forme di corruzione: Stato e banche possono
accumulare debiti o dare crediti che creano inflazione e quindi una
demoralizzazione collettiva dei cittadini. Le ondate di inflazione in
Germania hanno creato nei tedeschi quel loro carattere depresso o così
moraleggiante quando è in ballo il denaro».
Che c’entra l’inflazione con il populismo al potere?
«
Una cosa è la corruzione via inflazione del denaro, un’altra la
corruzione dei valori etici dei cittadini nelle fasi ciniche della
storia. In queste fasi corrosive come quelle che oggi stiamo vivendo
sono soprattutto i più deboli a guardare con totale sfiducia alla
“casta”. Da sistemi di fiducia le società si trasformano in “menzogne
organizzate” su due fronti: il cosiddetto popolo dei populisti da un
lato, e l’élite dall’altro. È in questo bagno acido della sfiducia che
nasce e cresce la sfrontatezza del populista».
L’epoca d’oro in
cui in Europa esplosero svalutazioni del denaro e sfiducia massima nelle
élite è la Repubblica di Weimar, la Germania tra il 1918 e l’avvento
del nazismo nel ’33...
«La Repubblica di Weimar è nata dalla
catastrofe della Grande guerra. Dalle guerre, come la storia americana
insegna, sono nate democrazie solo se erano guerre di liberazione. Ma il
problema di Weimar fu che la sua costituzione non vide il dramma dei
piccoli partiti nazionalisti che minavano le sue fondamenta liberali.
Sono questi partitelli di protesta che fomentano la sfiducia dei
cittadini nelle istituzioni che finisce per portare al potere i
populisti».
Sfiducia a parte, qual è il fattore del successo di tutti i populisti di ultra destra oggi in Europa?
«Il
sincretismo. Se c’è un elemento che accomuna l’odierna Alternative für
Deutschland alla Nspd di Hitler è il mix che mischia elementi di
sinistra e di destra, veleni razzisti ed aspetti progressivi, una cruda
Real-Politik con una sfrenata Irreal-Politik. Il populismo è sempre
anti-elitismo, e la democrazia per definizione sempre in crisi. In una
fase di crisi acuta, basta una figura un po’ carismatica ma ipercinica
per sbarcare con questo mix sincretico al potere».
Orbán in
Ungheria, Le Pen in Francia, Foto: C. Hellier - Corbis via Getty Image,
VCG Wilson - Corbis via Getty Images, Getty Images Salvini in Italia o
la Afd in Germania, tutti i populisti di destra vogliono alzare ora muri
in Europa per difenderci da migranti e insicurezze varie. Perché il
tema della sicurezza agita tanto le nostre coscienze?
«Nella
psicopatologia politica agiscono due poli opposti, quello della libertà e
della sicurezza dall’altro. La libertà dei consumi, di opinione,
dell’emancipazione dei costumi, e l’imperativo della immunità che tira
il freno alle libertà dell’individuo e del corpo sociale. La sicurezza
si fa dominante quando, in una crisi, c’è gente che ha qualcosa da
perdere. I partiti popolari non sono riusciti a togliere queste paure
alla gente ed è su questo tasto che i populisti ripetono, come il Grande
Inquisitore, che l’uomo non è buono abbastanza per essere libero».
Non
è una novità se, nel 1576, Etienne de la Boétie nel suo “Discours de la
servitude volontaire” notava che tutti abbiamo paura della libertà ed
altro non vogliamo che esser guidati da un Uomo forte...
«Negli
ultimi 250 anni non abbiamo fatto altro che sperimentare due tesi
antropologiche complementari: questa pessimista di la Boétie, ma anche, a
partire da Rousseau, l’assioma ottimista secondo cui l’uomo è buono
abbastanza per esser libero. Non sappiamo come finisca il test: il 20°
secolo con le sue dittature è costellato da conferme delle tesi
dell’Inquisitore per cui l’uomo è uno schiavo ribelle, ma che teme la
rivolta. Il profilo dell’Homo sapiens disegnato da Boétie è ancora più
duro, visto che per lui coloro che più soffrono la miseria sono,
contrariamente a ciò che Marx crederà, il veicolo migliore della
diffusione di repressione e violenze».
I populisti sono quindi oggi al potere per reprimere “l’uomo in rivolta” di Camus...
«I
nipotini dell’Inquisitore oggi al potere sono gli studenti peggiori che
si rivoltano contro quelli più bravi di loro, contro gli insegnanti e
la scuola stessa. Sono i dilettanti, ma senza nessun diletto per la
cultura né capacità, e per questo amati dai loro fans. L’entusiasmo
nell’era di Internet è sempre orizzontale, non ci sono ideali superiori
da raggiungere o emulare per i fan di Trump o dei demagoghi populisti».
Joschka
Fischer, uno dei fondatore dei Verdi tedeschi, sognava gli Stati uniti
d’Europa. Che ne è di questi slanci nell’era distopica del cinismo?
«Attraversiamo
una fase melanconica per quanto concerne l’entusiasmo. La maggior parte
dei Paesi europei sono in uno stato ipnotico di disinformazione
mitologica, ognuno si immagina di esistere da sempre come Nazione e i
populisti pompano miti in queste presunte sfere di egoismi nazionali.
Tutte immagini infondate, visto che l’Europa più che altro è stata una
storia di conglomerati imperiali».
Il suo ultimo saggio s’intitola: “Dopo Dio”. Che ne è del sommo Bene nell’era del cinismo trionfante?
«Goethe
nel Faust fa porre a Greta la domanda: “Come stai tu a religione?” Sei
affidabile, cioè sposabile? Anche oggi aspiriamo, come Greta, a venir
sposati, a vivere con Dio in rapporti più stabili. Nel nostro estremo
bisogno di sicurezza, su cui tanto insistono i populisti, Dio ci appare
come una polizza, l’assicurazione metafisica suprema. Certo che questa
figura di un Dio che si presta a transazioni finanziarie non è il
massimo dal punto di vista teologico né da quello politico, ma anche
nella nostra epoca Dio resta “un bisogno metafisico”, come diceva
Schopenhauer». Nietzsche si era sbagliato con il suo letale annuncio:
«Dio è morto»?
«La metafora è sbagliata, può morire solo ciò che
ha un organismo. La questione non è tanto se esista o no, quanto se la
domanda di Dio sia importante o meno. E certo oggi la Chiesa non ha più
un regno territoriale, ma la funzione “imperiale” simbolica del
pontefice romano a quanto pare è ancora presente».