sabato 17 novembre 2018

La Stampa TuttoLibri 17.11.18
“Noi inglesi siamo un popolo di brocchi
per questo abbiamo scelto la Brexit”
“Noi inglesi, siamo un popolo di brocchi”
Coe ritorna ai suoi protagonisti per raccontare la “Middle England” di oggi: sfigata, tribale, priva di leader “Siamo divisi su tutto, ci insultiamo sui social: ci tengono insieme solo la nostalgia e lo sport”
di Caterina Soffici


Dopo una serie di libri un po’ loffi, Jonathan Coe torna agli antichi splendori con Middle England, un romanzo decisamente brillante sullo stato della nazione dopo la Brexit. E’ il Coe che i lettori italiani conoscono e amano, quello che ti racconta l’Inghilterra con leggerezza e con quell’umorismo tipicamente british, che centra il cuore delle cose senza annoiare.
A pubblicarlo è sempre Feltrinelli e la narrazione di Coe è così connessa alla realtà politica da riportarci indietro ai due romanzi che lo hanno reso famoso: La famiglia Winshaw (1995) e La banda dei brocchi (2002), entrambi adattati in miniserie tv dalla Bbc, dove la trama si intrecciava agli eventi storici degli anni Ottanta thatcheriani e alle bombe dell’Ira nei Settanta.
Qui si torna alla Banda dei brocchi, il protagonista è di nuovo Benjamin Trotter, non più adolescente ma sempre timido, impacciato e un po’ sfigato («è vero, è per certi versi il mio alter ego» ammette Coe). Ci sono anche i suoi amici, con una manciata di nuovi interessanti inserimenti, come la ribelle Coriander, figlia del giornalista progressista Doug Anderton, che vive in una casa da sei milioni di sterline a Chelsea ma partecipa ai disordini che hanno incendiato Londra nell’estate del 2011, piange per la morte di Amy Winehouse e poi diventa attivista e fervente paladina del leader laburista Jeremy Corbyn, il vetero comunista che ha spazzato via il blairismo e fa innamorare i più giovani. Un personaggio molto riuscito, che c’è da scommetterci, avrà buone gambe per portare avanti la saga in un nuovo libro.
Middle England è il ritratto di una nazione divisa su tutto, che non tollera più il politicamente corretto, che si insulta sui social media, senza una guida politica, «tribale e polarizzata» dice Coe. Qualcosa di brutale e totalmente diverso dalla nazione tollerante e moderata dello stereotipo.
Ci incontriamo in un caffè, vicino alla casa dove vive con la moglie e le due figlie (alle quali è dedicato il libro). Ordiniamo entrambi una cosa molto poco inglese - cioccolata calda - e la prima domanda la fa lui: «Come è cambiata la vita per voi italiani qui a Londra dopo Brexit?». «Chi può, fa le pratiche per chiedere il passaporto inglese. Non si sa mai» rispondo. «Ho litigato su Brexit con un settantenne inglese, ma ora stiamo lentamente facendo pace. Però qualcosa è cambiato. Da una parte ci sono gli inglesi e dall’altra gli stranieri. Noi e loro, loro e noi». «Ah», dice Coe pensieroso. Non che gli abbia rivelato chissà quale verità; tutto il libro parla di come siamo arrivati a questo punto.
Come andrà a finire?
«Non sono il migliore a fare previsioni. Non ne ho mai azzeccata una. Sul referendum avevo previsto il 52/48, ma nell’altro senso, cioè che vinceva il Remain. Bastava che ascoltassi gli amici di Birmingham invece di quelli di Londra, per ribaltare la previsione».
Perché hai scritto un romanzo così inserito nella realtà? L’ultimo capitolo è datato addirittura settembre 2018.
«In verità quello l’ho scritto ad aprile 2018. Ma la sfida è proprio questa. Cercare di cogliere l’attimo, catturare lo scorrere degli eventi nella maniera più vicina possibile, quasi mentre stanno avvenendo. Probabilmente Brexit ha acuito la nostra mente di scrittori».
Quando hai deciso di scriverlo?
«Per un narratore politico come me era un’occasione troppo ghiotta. Ma è capitato per caso, come succede sempre con i romanzi. La mia editor mi aveva chiesto perché non parlavo di Brexit. Gli risposi che non potevo perché non avevo una storia e anzi avevo in mente di continuare la saga dei brocchi. Poi c’è stato un episodio che mi ha fatto capire che i due libri erano in verità la stessa cosa».
Quale l’episodio?
«Luglio 2016, ero in vacanza in Francia, in macchina con la famiglia. Mia figlia guardava le news sul telefonino e mi ha dato la notizia di Boris Johnson nominato ministro degli Esteri. E’ stato fulminante».
Non sei l’unico a scrivere di attualità. Forse perché troppe cose accadono tutte insieme, quando si pensava che la storia fosse finita. E’ un fiorire di romanzi dove le realtà irrompe nella fiction. I quatto volumi sulle stagioni di Ali Smith. «Crudo» di Olivia Laing. Sembra quasi un nuovo filone.
«C’è anche Perfida Albione di Sam Byers. Forse è un fatto catartico. Volevo capire cosa ci ha portato qui. Infatti Middle England non parla propriamente di Brexit, ma soprattutto del periodo che la precede. La mia è la storia di un paese che non si è adattato al futuro così velocemente come avrebbe dovuto. La Gran Bretagna è più a suo agio con il suo passato che con il suo futuro».
Ci sono due tipi di scrittori. Quelli che definirei tolstojani, che non rincorrono l’attualità. E quelli alla Tom Wolfe, per cui bisogna raccontare la società contemporanea. Perché hai scelto questa categoria?
«Non sei tu a scegliere che tipo di scrittore sei. La mia natura è questa. In un certo senso per me è rassicurante stare attaccato a una realtà che scorre da sola. Starà ai posteri il giudizio. Se tra 10, 20 o 30 anni un libro così sarà ancora letto, sarà utile anche per capire quale era la visione di gente come noi, ora, nel 2018».
In una scena molto bella individui la vera Inghilterra profonda nel silenzio di un campo da golf nella campagna delle Midlands.
«E’ vero, è lì il suo cuore, nei Centri di giardinaggio e nei Golf Club. Sono cresciuto a Birmingham, fa parte del mio Dna. Poi è vero, sono andato a Cambridge a 19 anni e da 32 vivo a Londra. Ma appartengo a entrambe queste realtà».
Un’altra scena commovente è quando il vecchio padre di Ben vuole andare a vedere la fabbrica di auto dove ha lavorato per una vita, e non può credere che adesso ci sia un grande magazzino Mark & Spencer.
«Davvero è commovente? Anche io ho pianto mentre la scrivevo. Avevo messo su una musica tristissima, The Lark Ascending. E’ una scena accaduta nella realtà. Dove costruiscono adesso le auto? chiede il padre. E’ la storia della nostra deindustrializzazione. Da lì sono nati tanti dei problemi che nessuno si è preso la briga di risolvere. Stipendi bloccati. Scomparsa di lavori sicuri, piani pensioni e welfare. Rabbia contro la finanza. Rabbia contro il politicamente corretto. Disuguaglianze. Paura degli immigrati che ti portano via il lavoro».
Il libro si apre con il funerale della madre, poi se ne va anche il padre. E’ il simbolo della fine di un’epoca?
«Più che il simbolo, la presa d’atto di un dato anagrafico. A metà di gennaio del 2019 la popolazione giovane supererà quella degli anziani che hanno dato la maggioranza a Brexit».
Quanto c’è di te in Benjamin Trotter?
«Lui è molto più indeciso. Non ha grandi convinzioni politiche ma lo faccio votare Remain. Lui distrugge il 90 per cento del suo romanzo, io non ho cestinato neppure una pagina. Però il suo libro viene selezionato per il Man Booker Prize, quindi sono stato molto generoso. A me non è mai successo».
Però c’è qualcuno che ha pagato per essere un personaggio del libro. Durante un’asta a favore della charity Freedom from Torture, Emily Shamma fece un’offerta perché tu mettessi un personaggio con il suo nome. Ne hai fatto un transessuale. Reazioni?
«Ho firmato un contratto per cui ero libero di scrivere quello che volevo. Ma non l’ho mai incontrata né ci ho mai parlato. Le ho mandato il libro con dedica e spero che le sia piaciuto».
Lionel Hamshire, lo scrittore trombone che ha vinto un premio con il romanzo “Il tramonto delle lontre” è una caricatura perfetta. A chi si ispira? Sarà mica Martin Amis?
«E’ un misto di tre scrittori di quella generazione. Ma anche loro sono in via di estinzione. Anche l’era del grande scrittore maschio bianco sta tramontando con la vecchia Inghilterra. Le nuove leve sono di vari colori, razze e provenienze».
Dovessi definire la Gran Bretagna oggi in tre parole?
«Nostalgia. Sport. Musica. Sono le uniche cose che ci tengono ancora insieme».