La Stampa TuttoLibri 17.11.18
Ingoio pillole, dunque sono (tranquillo):
benvenuti nell’era dell’umanità sotto anestesia
di Marco Filoni
Laurent de Sutter, Narcocapitalismo. La vita nell’era dell’anestesia
La
ricevuta rilasciata dall’addetto portava il numero 4848. Era una grigia
mattina, il 12 novembre 1846: Charles Thomas Jackson e William Gree
Morton, di Boston, erano all’ufficio brevetti degli Stati Uniti. I due
avevano appena depositato un’invenzione che, recitava la descrizione
impressa su quella ricevuta, «riguardava il miglioramento delle
operazioni chirurgiche». In definitiva niente di più che etere
solforico: una sostanza già conosciuta che, fino ad allora, era usata
per alleviare il dolore. Ma il brevetto non riguardava la sostanza,
bensì il modo di usarla: loro per primi avevano avuto l’idea di farne
inalare i vapori. Ed era un atto medico senza precedenti, poiché si
trattava del primo metodo che permetteva al chirurgo di operare il
paziente senza che questo avvertisse dolore. Era l’invenzione
dell’anestesia. E segnava l’inizio di un’epoca.
Questo il punto di
partenza del convincente e affascinante libro del filosofo belga
Laurent de Sutter dal titolo Narcocapitalismo. La vita nell’era
dell’anestesia. Il quale ci dice che con quel brevetto (e con le molte
altre scoperte che sono venute poi) siamo entrati in un’epoca perduta,
un’epoca in cui le nostre emozioni, i nostri sentimenti, le nostre
eccitazioni sono state messe sotto controllo. Come? Con la chimica:
anestetici, sonniferi, antidepressivi, eccitanti, droghe… Il catalogo è
ampio, e ormai la nostra esistenza è fatta di un lungo dialogo con il
portapillole. Una pillola per dormire, una per svegliarsi; una per fare
festa e una per evitarne le conseguenze il mattino successivo; una
pillola per fare l’amore, una per non avere paura, una per non fare
bambini – e se per caso ce li abbiamo, i bambini, c’è anche la pillola
per farli stare un po’ calmi.
De Sutter traccia l’affascinante
storia di queste sostanze, della diffusione e del loro uso. Ma il suo
interesse è, potremmo dire, «archeologico»: le vicende che racconta sono
usate come dispositivi. Ecco allora che la ricostruzione del filosofo
serve per mettere in luce una modernità farmacologica, ovvero il
confinamento della nostra esistenza all’interno di una camicia di forza
chimica. Attenzione però: non si tratta di un’alzata di scudi,
conservatrice, al grido: «a morte le sostanze chimiche!» Non è una
requisitoria indignata contro la medicina. Da nessuna parte troveremo
una sola parola contro i progressi della scienza che hanno migliorato le
nostre esistenze (ed è evidente: se qualcuno sta male e soffre di
sindrome maniaco-depressiva, deve prendere gli psicofarmaci; se qualcun
altro deve esser operato farà ricorso all’anestesia e così via…).
Per
l’autore la nostra epoca non ha mai smesso di moltiplicare le tecniche
di coercizione fisica e psichica: dagli anestetici allo sviluppo della
pillola contraccettiva, dalla scoperta delle proprietà della cocaina
sino ai sonniferi, c’è una volontà di domesticazione dell’essere, di
domare i soggetti e gli individui spegnendo la loro capacità di
eccitarsi, rendendoli calmi e silenziosi. Ecco allora che tutte quelle
pillole hanno un significato non soltanto per ciò che sono e che fanno,
ma per ciò che possono essere.
Qui de Sutter segue una tradizione
feconda della filosofia contemporanea (mette conto ricordare almeno i
nomi di Foucault, Rancière e Agamben): il suo libro sembrerebbe
politico, ma tutte le questioni che pone si riferiscono a un problema
ontologico, che riguarda l’essere. Detto in maniera semplice: se la
politica si espleta (anche) in termini di controllo, allora questa deve
anche sapere qualcosa sull’essere che vuol controllare – ecco perché la
politica per poter funzionare ha bisogno dell’ontologia, secondo una
tesi cara già a Deleuze e Guattari.
Allora per de Sutter le
invenzioni narcotiche, così come le loro applicazioni politico-medicali
nel corso della storia recente, vanno analizzate in termini più generali
perché restituiscono una concezione passiva della corporeità umana:
ogni essere è considerato come una «massa operabile», alla quale va
spenta l’innata eccitazione (il problema ontologico della stabilità o
della sussistenza: se l’eccitazione mette l’individuo «fuori di sé»,
come indica l’etimologia: ex-citare, come mantenere l’essere nei suoi
limiti?). Raggiungere cioè il grado zero della vita degli affetti. In
queste pagine pieni di stimoli De Sutter ci pone questioni che fanno
pensare, che danno da pensare. Ed è esattamente ciò che sanno fare i
veri libri di filosofia. Di questi tempi sono sempre meno, ahinoi – ed è
il motivo per cui rallegrarsi quando, finalmente, se ne trova uno.