La Stampa 9.11.18
Merkel: “Il nazionalismo porta alla guerra, fermiamolo”
di Amedeo La Mattina
La
virata a destra auspicata da Matteo Salvini e dai populisti europei non
c’è stata al congresso del Ppe. I Popolari a Helsinki preferiscono per
la presidenza della Commissione europea il conservatore bavarese Manfred
Weber al più duro anti-populista Alexander Stubb, ex premier
finlandese. Si coprono a destra, ma la standing ovation tributata ad
Angela Merkel dai delegati racconta che, nonostante le ammaccature e la
sua annunciata uscita di scena nel 2021, è sempre e ancora lei a dare la
linea. Quando la Cancelliera tedesca si piazza davanti ai microfoni con
la sua giacca color aragosta, una selva di telefonini si alza per
fotografarla. E lei, senza scomporsi di fronte a tanto entusiasmo: «Ma
se ancora non sapete cosa sto per dire...». Gli applausi crescono, tutta
la presidenza del Ppe è in piedi. Pure i due premier sovranisti
Sebastian Kurz e Victor Orban, che si trasformano in statue di sale,
quando la Merkel attacca con una serie di rasoiate. Partendo dal ricordo
della Prima e della Seconda guerra mondiale, dai lutti e dalle vittime
provocate. «E lo dice una Cancelliera tedesca...». Fa una pausa amara.
Un brivido attraversa la platea mentre evoca i conflitti sanguinosi del
Novecento. E ammonisce: «Spetta al Ppe lottare contro i vecchi fantasmi
del nazionalismo in vista delle prossime europee. Dobbiamo dimostrare di
avere imparato dagli orrori del XX secolo. Insieme si è più forti, da
soli non si può vincere se l’altro perde». Poi la stoccata finale: «Il
nazionalismo porta alla guerra». La leader dei Popolari tedeschi
riconosce gli errori commessi negli ultimi anni, la necessità di
garantire la sicurezza dei cittadini, il controllo delle frontiere
europee. Non è però la polifonia e chiudersi nelle proprie nazioni che
può risolvere problemi. «Se vediamo la nostra posizione nel mondo -
scandisce - manca l’unità. Come Europa verremo presi in considerazione
dagli Usa, Cina e Russia se parleremo all’unisono».
Anche Orban e
Kurz votano per Weber, che sulle note di “One vision” dei Queen diventa,
sfiorando l’80%, lo “Spitzenkandidat” del Ppe. Lo sfidante Stubb,
sostenuto dai Paesi del Nord Europa, si ferma al 20. I due rivali si
abbracciano e ricevono i complimenti anche dal premier ungherese,
capofila dei governi di Visegrad ai quali guardano Matteo Salvini e
Giorgia Meloni. Ma qui lui gioca un’altra partita tutta interna al Ppe,
al partito che alle elezioni europee vuole vincere. Sa che solo dentro
il Ppe può contare, avere un ruolo. Orban vuole presidiare il confine
della destra, non unirsi alle forze della destra. Lo ha spiegato in
questi giorni ad Antonio Tajani che gli chiedeva di moderarsi,
soprattutto dopo che il Parlamento europeo ha votato una condanna per
violazione dello stato di diritto in Ungheria. «Caro Antonio, io potrei
anche moderarmi ma se non faccio il duro in Ungheria arrivano i
nazisti». «La verità - dice il presidente dell’Europarlamento e
coordinatore di Forza Italia - è che l’Italia è isolata. Orban usa
Salvini e non viceversa».
Il congresso del Ppe si chiude con
l’Inno alla gioia, ma ora i Popolari, in forte calo nei sondaggi,
dovranno vincere se vorranno continuare a decidere le sorti politiche
del Vecchio Continente assediato da Est e da Ovest.