La Stampa 8.11.18
Cento donne sui banchi del Congresso per innovare l’agenda politica dell’America
di Francesco Semprini
La
prima donna nativa americana eletta in Congresso, le prime due di fede
musulmana ad occupare un seggio alla Camera dei rappresentanti, la prima
donna a rappresentare Tennessee e Arizona al Senato degli Stati Uniti,
la prima governatrice della storia del South Dakota, la prima deputata
sotto i 30 anni a salire la scalinata di Capitol Hill.
È senza
dubbio il «voto delle prime volte» quello che ha segnato le sorti delle
elezioni di metà mandato del 2018, con la riconquista da parte
democratica della maggioranza alla Camera ma non al Senato. Prime e
primati sono stati il filo conduttore di questa tornata elettorale che
rappresentava, prima di tutto, un referendum sull’operato di Donald
Trump. E proprio perché modulato attorno alla figura del presidente
degli Stati Uniti l’esito del voto ha assunto le sembianze di un
cambiamento forte (simile a quello registrato su fronte del Grand Old
Party in Usa 2016), destinato a mutare lo stesso Dna della politica a
partire dal partito democratico. Un cambiamento che ha il volto di donna
e il carattere della diversità.
Erano 272 le donne che correvano
per Camera, Senato e governi degli Stati, che sommate ai 138 tra uomini
appartenenti a minoranze razziali e candidati apertamente caratterizzati
da differenze di genere (Lgbt), porta a 410 l’esercito della diversità
che ha contagiato il Midterm. Le deputate elette sono ad ora 84 per i
democratici e 14 per i repubblicani su un totale di almeno 98, che
polverizza il precedente record di 85 unità.
Svolta storica
Il
numero complessivo di donne a costituire la 116ª legislatura è
destinato a battere il precedente record di 107 unità, e segna un
passaggio storico di portata simile al 1992, anno in cui raddoppiò la
rappresentanza femminile a Capitol Hill. Del resto già alle primarie dei
due rami del Congresso le candidate in corsa erano 256, di cui 59
repubblicane e 197 democratiche. Un’onda che ha il volto di Alexandria
Ocasio-Cortez, nata nel Bronx 29 anni fa, la donna più giovane eletta a
Capitol Hill, icona dei democratici scontenti, spesso donne e minoranze,
che cercano di spingere il partito a sinistra.
Rashida Tlaib,
figlia di immigrati dalla Palestina, è la prima donna musulmana ad
essere eletta al Congresso, nel suo distretto per la Camera in Michigan.
Come Ilhan Omar, anche lei musulmana ma di origini somale, vincitrice
in Minnesota. Ha trascorso quattro anni in un campo rifugiati in Kenya
prima di giungere negli Stati Uniti, e per la sua storia ha conquistato
la copertina di «Time». Sarà la prima rifugiata africana al Congresso e
la prima deputata a indossare l’hijab, il copricapo tipico. Sempre per
la Camera in Kansas ha vinto Sharice Davids, in New Mexico invece Debra
Haaland, entrambe native americane, le prime a sedere al Congresso.
Davids è membro della Grande nazione Ho-Chunk Nation, ex combattente di
arti marziali, ed è stata cresciuta solo dalla mamma. Il suo è un doppio
primato visto che è la prima donna dichiaratamente gay ad essere
eletta. Un altro alfiere della diversità di genere è il democratico
Jared Polis, vincitore in Colorado e primo governatore dichiaratamente
omosessuale. La repubblicana Marsha Blackburn è la prima donna senatore
del Tennessee, mentre l’Arizona avrà la sua prima senatrice in assoluto,
chiunque vinca tra la democratica Kyrsten Sinema e la repubblicana
Martha McSally, impegnate in un confronto al fotofinish.
Il nuovo «movimento»
Il
Texas invia la prima ispanica al Congresso, è la deputata Veronica
Escobar, mentre la repubblicana Kristi Noem è la prima governatrice
donna del South Dakota. L’onda delle donne conquista Washington e fa
così da apripista alla diversità prendendo le sembianze di un movimento,
più che di un partito politico, che poco ha a che fare con i vecchi
volti dell’establishment democratico come Nancy Pelosi o ancor più
Hillary Clinton. Una diversità che marcia su binari progressisti tanto
quanto su piattaforme moderate. E che pertanto esige figure nuove per
essere codificata e guidata al 2020. Un movimento che viene visto con
interesse anche a destra come conferma il leader della maggioranza Gop
al Senato, Mitch McConnell: «Dobbiamo lavorare meglio per reclutare
donne, candidarle e farle eleggere».