La Stampa 8.11.18
Weimar 1918-2018
Cent’anni dopo la sindrome tedesca torna d’attualità
di Gian Enrico Rusconi
Anche
la Germania festeggia il novembre 1918 - a suo modo. Ricorda la sua
«rivoluzione democratica» del 9 novembre da cui è nata la prima
repubblica tedesca. Questa passerà alla storia come la Germania di
Weimar, dal nome della città dove viene elaborata la nuova Costituzione.
Ma Weimar rimane nella memoria collettiva e nella storiografia come
esperienza politica fallita: come il «fantasma di Weimar».
Nessuno
poteva immaginare che anche oggi le difficoltà della situazione
politica tedesca potessero rievocare quel fantasma. Dieci anni fa, in
occasione del novantesimo anniversario della rivoluzione, era stato
molto apprezzato un saggio intitolato Dalla democrazia improvvisata alla
democrazia riuscita. «Improvvisata» era considerata la democrazia di
Weimar, «riuscita» invece era quella della Bundesrepublik. Questa aveva
accolto molti aspetti positivi (soprattutto di ordine sociale) della
Costituzione weimariana, ma ne aveva corretti altri. Aveva ridotto
drasticamente le competenze del presidente della Repubblica che a Weimar
aveva di fatto portato a un regime presidenziale diventato poi
(preterintenzionalmente) un regime totalitario; aveva introdotto la
«sfiducia costruttiva» per evitare i pericoli della ingovernabilità;
aveva imposto ai partiti la soglia di sbarramento del 5% per evitare la
frammentazione partitica.
Ma l’iniziativa più importante è stata
l’enunciazione di una serie di diritti fondamentali inalienabili che
garantiscono l’intangilità stessa della sostanza democratica della
Costituzione. Detto in termini più espliciti: nessuna maggioranza
parlamentare può modificare i diritti fondamentali garantiti dalla
Costituzione. A questo scopo è stato istituito un organo di controllo
effettivo della costituzionalità delle iniziative politiche partitiche:
la Difesa della Costituzione (Verfassungsschutz).
Tutto ciò
mancava a Weimar. I suoi nemici godevano della libertà democratica di
distruggerla - in nome del «popolo» quale era interpretato dalla destra
estrema e poi dal nazionalsocialismo.
Dobbiamo preoccuparci anche
oggi? Perché gli organi per la Difesa della Costituzione hanno aumentato
la loro attenzione verso i comportamenti di alcuni gruppi e movimenti
di estrema destra, comprese alcune sezioni regionali della Alternative
für Deutschland, il partito «populista di destra» che siede in
Parlamento con il 12,6% ed è presente ormai in tutti i Parlamenti dei
Länder? Mette in pericolo la democrazia? Si sta creando una sindrome
Weimar?
È sbagliato equiparare senz’altro il «populismo di destra»
di oggi con la destra razzista e antidemocratica degli anni Trenta, con
il nazionalsocialismo. Anche se non mancano frange neonaziste, saluti
hitleriani nelle manifestazioni pubbliche e soprattutto atteggiamenti e
linguaggi völkisch, che sono il modo tipico tedesco di essere populisti
radicali. L’ Alternative für Deutschland (AfD) non è la Nsdap (il
partito nazista); tra i suoi leader non ci sono Führer carismatici o
aspiranti tali. I vertici politici dell’AfD non sono «negazionisti».
Eppure lamentano il «culto della colpa», che sarebbe stato imposto ai
tedeschi dalla sinistra e dal liberalismo di sinistra per quanto è
accaduto con il nazismo. A detta del leader della AfD, invece, il
nazismo è stata semplicemente una «stronzata» (sic) rispetto alla lunga
gloriosa storia tedesca.
Queste parole sono soltanto espressione
dell’involgarimento del linguaggio pubblico o segnalano qualcosa di più
insidioso? Nelle manifestazioni pubbliche dei movimenti affini alla AfD
vengono urlate espressioni che risentono del vecchio linguaggio
völkisch, diventato poi nazista, con particolare insistente denuncia
della «stampa bugiarda» (Lügenpresse). Il rifiuto dei migranti assume
toni ossessivi. Ogni migrante è visto virtualmente come un criminale e
soprattutto non integrabile. La presenza di massa di migranti
(soprattutto di fede islamica) mette a repentaglio la cultura e
l’integrità della popolo tedesco.
L’assoluta centralità del
concetto di popolo-Volk, miticamente elevato a criterio di omogeneità
etno-culturale, pretende unanimità dei consensi. Chi non è d’accordo in
nome di quello che è diffamato come «astratto universalismo» o
«impossibile multiculturalismo», è nemico del popolo.
«Noi siamo
il popolo» è lo slogan che ha caratterizzato la «rivoluzione pacifica»
del 1989 nella ex Ddr comunista. Ora viene usato contro il governo
democratico e in generale contro il sistema dei partiti esistenti. Ci
sono tutti i motivi perché gli organi della Difesa della Costituzione
siano in allerta. Ma probabilmente all’orizzonte non c’è una fine della
democrazia in stile Weimar, ma una variante non meno insidiosa per la
quale è già pronto il nome, sulla base di alcune esperienze che abbiamo
sotto i nostri occhi: una democrazia illiberale.