lunedì 5 novembre 2018

La Stampa 5.11.18
I grillini del Nord in pressing su Di Maio
“La Lega ci porterà via tutti i voti”
di  I. Lomb.


Quando Matteo Salvini in uno svogliato comunicato dice che si farà il «reddito di reinserimento al lavoro» crea una voragine nelle certezze del M5S. Perché ribattezzare in quel modo il provvedimento principe del M5S che invece è intitolato alla cittadinanza, e che di solito Salvini evita proprio del tutto di citare, vuol dire portare in superficie i dubbi che lacerano i gialloverdi, e le preoccupazioni che in casa grillina agitano la i parlamentari del Nord.
I sondaggi strozzano il respiro quando il crollo è evidente come quello che nell regioni settentrionali ha subito in appena cinque mesi di governo il M5S. Le rilevazioni segnano un meno 8 per cento su un calo generale di circa il 4-5 per cento. Un travaso di voti, tra l’altro, a tutto favore dell’alleato. Ed è anche per questo che è scattato l’allarme che ha innescato la voglia di rivalsa dei grillini. «Dobbiamo piantare bandiere e recuperare le nostre battaglie storiche» è stata la riflessione di Di Maio, prima che l’emendamento sulla prescrizione spuntasse senza alcuna condivisione con la Lega.
Il vicepremier ha discusso a lungo con i suoi collaboratori della fuga degli elettori del Nord e ha ascoltato alcuni suggerimenti giunti dai parlamentari settentrionali, spaventati dai segnali di stanchezza e scetticismo lanciati dal mondo produttivo. Sulla manovra, sugli effetti del decreto dignità, sulle grandi opere (vedi Tav), sul condono edilizio. Ad aver molto impressionato i grillini sono state le dichiarazioni del presidente di Assolombarda Carlo Bonomi, che ha definito il governo «antindustriale» e «ostile come mai prima d’ora» alle imprese. Non a caso ieri il M5S ha scelto di far parlare Stefano Buffagni, Il sottosegretario è l’uomo del Nord tra i grillini, e fu lui a sdoganare Di Maio tra gli imprenditori. Un consiglio su tutti è arrivato a al leader: bisogna far capire che il reddito di cittadinanza è una misura di politica attiva. O comunque renderlo il più possibile tale. «Perché non sembri davvero una misura meramente assistenzialista». Solo così diventa digeribile per gli elettori settentrionali e meno attaccabile dagli alleati.
Ai leghisti il reddito grillino non è mai piaciuto e vorrebbero mutarne la natura, come ha detto apertamente il sottosegretario Armando Siri. Nei 5 Stelle qualcuno nutre il sospetto che la Lega voglia sfruttare un’eventuale crisi sulla norma per spingere Di Maio a far saltare il governo e tornare a votare. Ecco perché, dicono fonti del Carroccio, il grillino preferirebbe affidare il reddito a un decreto. Più veloce e più vincolante per la maggioranza. Salvini continua a smentire queste ipotesi e dal Carroccio fanno sapere che è più probabile come scenario dopo le Europee, quando il leader della Lega avrà calcato - spera da vincitore - il palcoscenico del sovranismo internazionale. Per farlo, gli serve l’alleanza strategica con il M5S, per sterilizzarne la maggiore forza che avrebbe se fosse alla sua opposizione.
Il momento di debolezza, certo, non aiuta Di Maio: stretto in un paradosso. Se non porta a casa il reddito di cittadinanza fallisce la sua principale battaglia. Se lo porta a casa, spaventa una fetta di elettorato che potrebbe cercare subito riparo sotto la Lega. Da qui l’idea del restyling nel faticoso cammino della riforma, uscita dal dalla manovra e rinviata a una legge ad hoc. «E’ una misura di politica attiva» ribadiva mercoledì alla Camera il sottosegretario Manlio Di Stefano, rifiutando il paragone con gli 80 euro di Matteo Renzi. Basterà a convincere il Nord? I. Lomb.