La Stampa 4.11.18
Minacce social a Ilaria Cucchi
“Provengono da carabinieri”
di Edoardo Izzo
Insulti
e minacce di morte indirizzati a Ilaria Cucchi, sorella di Stefano, la
cui unica colpa è quella di aver lottato per 9 lunghi anni alla ricerca
della verità. Messaggi intimidatori inviati da account apparentemente
riconducibili a «poliziotti e carabinieri». A denunciarlo ieri la stessa
Cucchi in un post su Facebook, nel quale ha raccontato di «essere
costretta a presentare denuncia al commissariato Porta Maggiore» a causa
dell’ennesima offesa subita. Le azioni, secondo la Cucchi, sono
coordinate tra loro e mirano a «destabilizzare la mia vita quotidiana e
quella dei miei cari». «I miei figli dormono. Io e Fabio (Anselmo,
legale della famiglia e compagno di Ilaria, ndr) abbiamo appena fatto
colazione. Lui deve studiare un processo importante e io vorrei stare in
casa con lui», ha scritto sul social network la Cucchi che ha aggiunto:
«Le minacce hanno più o meno la medesima targa politica (simpatizzanti
della Lega di Salvini)», e spesso appaiono provenire da appartenenti
alle forze dell’ordine.
Intimidazioni anche a un militare
Queste
intimidazioni sono arrivate a poche settimane dalla lettera indirizzata
a Giovanni Cucchi, papà di Stefano e Ilaria, nella quale lo si invitava
a «scusarsi per tutte le persone che suo figlio ha rovinato con la
droga». Ma la famiglia Cucchi non è l’unica a essere finita nel mirino.
Per il pestaggio subito dal giovane geometra romano, il 16 ottobre del
2009, sono imputati 5 carabinieri e uno di questi, Francesco Tedesco, ha
subito pesanti intimidazioni. Il militare ha raccontato di aver preso
parte al violento pestaggio ai danni del ragazzo, insieme ai colleghi
co-imputati Raffaele D’Alessandro e Alessio Di Bernardo, confermando di
aver taciuto per anni. «Non ho parlato per paura», ha denunciato il
militare, difeso dall’avvocato Eugenio Pini, davanti al pm di Roma,
Giovanni Musarò. Da queste parole è nata la nuova inchiesta che
coinvolge almeno 7 carabinieri indagati nel nuovo filone in cui si
ipotizza il reato di falso. Un vero depistaggio messo in atto tra il
2009 e il 2015 dai vertici dell’allora comando provinciale della
Capitale, con l’intenzione di «coprire» i colleghi. Un clima che oggi
appare cambiato. Giovanni Nistri, comandante generale dell’Arma, ha
promesso che i responsabili della morte di Cucchi «non indosseranno mai
più la divisa». Ferma anche la posizione del ministro della Difesa,
Elisabetta Trenta che ha affermato: «In tanti dobbiamo chiedere scusa.
Io devo farlo come governo se c’è stata una parte delle istituzioni che
non ha visto».