sabato 3 novembre 2018

La Stampa 3.11.18
L’ascesa della premiata ditta Topf, i migliori forni crematori per le SS
Auschwitz: costruiti dalla Topf & figli dal 1940 al 1944
Non erano Nazisti della prima ora. Furono travolti, con i loro tecnici, dall’ambizione
di Mirella Serri


Quando i servizi di controspionaggio dell’esercito americano fecero irruzione nella villa della famiglia Topf, a Erfurt, per sequestrare carte e disegni, furono stupiti dal lusso: le camere da letto erano fiancheggiate da sontuosi bagni neri e bianchi. Il proprietario dell’abitazione, Ludwig Topf, aveva fama di dongiovanni che destinava alle bionde le toilette in chiaro e alle brune quelle in scuro. L’11 aprile 1945 le truppe Alleate, prima che Erfurt passasse sotto il controllo sovietico, avevano raggiunto il campo di concentramento di Buchenwald, a pochi chilometri dall’abitazione dei Topf, ed erano stati raggelati da una visione raccapricciante: il lager traboccava di poveri corpi divorati dai topi e dalla collina di Ettersberg arrivava un fetore insopportabile. I forni crematori, con il marchio in bella vista della società di Ludwig e di suo fratello Ernst Wolfgang, la Topf&Figli, avevano smesso di funzionare.
Le autorità a stelle e strisce avviarono un’indagine sull’azienda. Ma la famiglia Topf, dopo che Ludwig il dandy si fu suicidato il 31 maggio, sostenne con grande improntitudine di aver offerto semplicemente dei «servizi» al lager. Ma adesso a raccontarci la vera storia della «famiglia che progettò l’orrore dei campi nazisti», come recita il sottotitolo, arriva il libro di Karen Bartlett, Gli architetti di Auschwitz (Newton Compton, pp. 325, € 12, 90). La fabbrica dei Topf all’inizio del secolo produceva birra, poi sviluppò un piccolo reparto di impianti per il riscaldamento successivamente destinato alla cremazione civile. Proprio questo settore calamitò l’attenzione delle SS che gestivano il vicino lager e che si rivolsero ai Topf.
Come mai Ludwig, il direttore dell’impresa, ed Ernst Wolfgang, accettarono di essere coinvolti nell’ «incinerazione» di massa, così chiamavano lo smaltimento delle vittime? Non erano nazisti dalle granitiche convinzioni: come emerge dai documenti, infatti, s’iscrissero al partito nazionalsocialista prendendo l’ultimo treno, quando già Hitler era al potere. Non erano nemmeno antisemiti ma coltivavano rapporti di amicizia con famiglie ebree. Dai registri contabili peraltro risulta che non cumularono nemmeno cifre spettacolari. Però manifestarono un entusiasmo e una partecipazione incredibili all’avventura dell’ «incinerazione»: «Siate certi», scriveva Ernst Wolfgang ai responsabili dei lager da loro serviti, «che forniremo un sistema adeguato e ben funzionante, e ci raccomandiamo a voi con un «Heil Hitler».
Grandi fans del progetto furono poi gli ingegneri e i dirigenti Kurt Prüfer, Fritz Sander, Karl Schultze, Gustav Braun che vennero catturati dai sovietici e trasferiti in Russia. Prüfer in particolare si applicò a perfezionare la struttura dei forni il sabato e la domenica e chiese a Ernst Wolfgang e a Ludwig un premio in denaro: «Sono stato io a capire come creare i forni per la cremazione lavorando anche nel tempo libero. Questi forni sono davvero rivoluzionari, e posso supporre che mi concederete un bonus per il lavoro che ho fatto». Le maestranze partecipavano poi ai frizzi e lazzi degli ufficiali tedeschi che chiamavano scherzosamente le camere a gas «bagni speciali» e si permettevano feroci battute: «Ragazzi abbiamo finito? C’è ancora qualcuno da bruciare?».
I Topf e il folto gruppo di manager, installatori di forni ed esperti di ventilazione, ottennero risultati notevoli. Gli impianti che modificarono permisero ai lager di Buchenwald, Mauthausen, Dachau, Gross-Rosen e Auschwitz di accelerare spaventosamente i ritmi. Arrivando a cremare circa 4.500 corpi al giorno dal 1940 al 1944. In particolare i loro impianti di ventilazione migliorarono il funzionamento delle camere a gas che aumentarono le loro capacità distruttive.
La famiglia Topf e i dipendenti si difesero sostenendo di non essere gli unici in quel settore e ricordando che vi erano anche altre società, come la Kori di Berlino. Si definivano commercianti che non avevano dato alcun apporto all’Olocausto, al pari dei «fornitori di tavoli, sgabelli e armadi» dei lager. Quando capirono che queste menzogne non funzionavano, sostennero di essere stati ricattati e di aver temuto le rappresaglie dalle SS. Il gruppo dirigente fu condannato dai russi a 25 anni di lavori forzati ma dopo nove anni ottenne la libertà, mentre Ernst, che si era rifugiato nella Germania dell’Ovest, tentò invano di rimettere in piedi la rete di filiali dell’azienda.
Qual è dunque la spiegazione di tanta dedizione? A guidare i proprietari e le menti più brillanti della Topf&Figli furono, spiega l’autrice del saggio, l’ambizione personale, la competizione aziendale e le tante piccole rivalità che li spinsero a gareggiare per sviluppare la tecnologia. Riuscirono così a superare persino le più rosee previsioni delle SS. La cenere dei loro forni a volte era così densa che creava una fitta nebbia e i figli del comandante di Buchenwald non potevano raccogliere le fragole divenute tutte bianche.