il manifesto 3.11.18
Il romanzo criminale della crisi brasiliana
Intervista. Parla lo scrittore britannico Joe Thomas, autore di "Paradise City"
di Guido Caldiron
«Osservarono
il cratere. Alti grattacieli lo fronteggiavano su tutti i lati. Leme si
chiese come cazzo si potesse pensare di costruire una superstrada in
mezzo.. a quello. A destra, la favela precipitava giù verso il fiume,
una macchia marrone che si allargava senza sosta. Dietro, una foresta di
edifici, la luce che filtrava nei buchi tra l’uno e l’altro. I palazzi
salivano fino all’Avenida Paulista, nel cuore della città. Quando ci sei
dentro, pensò Leme, è solo un posto come un altro. La favela».
Dodici
milioni di abitanti che quasi raddoppiano con i quartieri extraurbani,
milioni di auto che ogni giorno intasano le strade, decine di distretti
industriali, finanziari, commerciali, ma anche centinaia di mercati,
teatri, parchi. Tutto è enorme, ampio, strabordante a São Paulo. E forse
non a caso è nel cuore di tutto ciò, nel centro europeo e residenziale
della metropoli brasiliana, una delle più grandi del mondo, che si deve
guardare per trovare quella che è a sua volta la favela più estesa del
Brasile, Paraisópolis, il quartiere-città dove vivono decine di migliaia
di persone che è servito a Joe Thomas da ispirazione per Paradise City
(Carbonio, pp. 313, euro 17,50), un romanzo che con il timbro crudo e la
determinazione del noir racconta le contraddizioni e la crisi della
società brasiliana.
Docente di letteratura e scrittura creativa
all’Università di Londra, Thomas ha vissuto e lavorato per oltre dieci
anni nella metropoli paulista e ha deciso di scrivere quello che è poi
diventato il primo capitolo di un trilogia – di cui in Gran Bretagna è
già uscito anche il secondo volume, Gringa –, prendendo spunto dalla
campagna di violenza scatenata oltre dieci anni fa, in occasione dei
Mondiali di calcio del 2006, dal Primeiro Comando da Capital, una delle
maggiori gang criminali locali. Un esempio, tra i tanti, dall’intreccio
inestricabile tra malavita, corruzione, politica come tra le forze
dell’ordine, e le drammatiche diseguaglianze sociali che caratterizzano
la città e il paese.
«São Paulo rappresenta uno scenario
straordinario per chi voglia scrivere un noir. – spiega Thomas – È una
città che si nutre di contraddizioni, dell’enorme abisso che separa i
molto ricchi e i molto poveri, e il tutto in spazi attigui, come accade a
Paraisópolis che è circondata da grattacieli residenziali.
L’ingiustizia sociale va di pari passo con la corruzione, la criminalità
nelle favelas con quella dell’élite politica ed economica, la violenza
di strada con la repressione cieca e gli abusi della Policia Militar. La
città stessa ha il ritmo di un romanzo poliziesco e solo con questo
strumento narrativo se ne può indagare l’anima e le mille insanabili
contraddizioni».
Le favelas sono luoghi terribili soprattutto per
chi è costretto a viverci, ma incarnano anche i «fantasmi» della
violenza e del crimine che vengono agitati verso il resto della società
brasiliana per giustificare ogni sorta di repressione. Lei ha però
scelto di capovolgere questi stereotipi per raccontare il paese. Come
sono andate le cose?
Ho vissuto a lungo accanto alla favela di
Paraisópolis, che sorge nei pressi di alcuni dei quartieri più ricchi di
São Paulo e mi è capitato di trovarmi lì la sera a bere con gli amici o
di frequentare e stringere amicizia con persone del posto. Spesso
attraversavo quella zona «malfamata» per recarmi al lavoro e non mi è
mai accaduto nulla. La stragrande maggioranza degli abitanti di quelle
«città nella città» che sono le favelas brasiliane sono persone oneste,
che lavorano sodo, poveri o poverissimi che fanno i conti con condizioni
di vita inimmaginabili, con dei livelli di sfruttamento terrificanti.
Con i miei romanzi ho cercato di raccontare questo aspetto della vita
nelle favelas, senza nascondere la violenza, la droga, la criminalità o
le azioni delle gang, ma sottolineando come si tratti di comunità che si
basano anche su dei valori condivisi e sull’idea di far fronte con la
determinazione all’emarginazione e alla miseria. E questo, a fronte di
una situazione in cui per l’élite brasiliana chi vive in queste zone –
solo a Paraisópolis oltre 40mila persone – sembra incarnare ogni sorta
di deriva e minaccia. Non solo, proprio sulla pelle degli abitanti delle
favelas si compiono ogni giorno abusi e speculazioni: dalle esecuzioni
sommarie ad opera della Policia Militar alle grandi truffe immobiliari e
urbanistiche, vicende che sono al centro di quanto scrivo.
Lo scrittore britannico Joe Thomas
Protagonista
di «Paradise City», il detective Mario Leme passa molto tempo nella
favela: sembra guardare da questa prospettiva a quanto accade intorno a
lui, ai molti misteri insoluti di São Paulo. È la sua stessa
prospettiva?
Sono nato e cresciuto in Gran Bretagna e sono
consapevole che in Europa si guarda alla realtà delle favelas con
un’atteggiamento intriso di feticismo: «il luogo del male, del
pericolo». Perché si pensa che da noi non esistano luoghi simili, anche
se in realtà non è vero fino in fondo. Eppure, queste zone non
costituiscono affatto un «altrove» rispetto alla città in cui sorgono e
anzi rappresentano un punto di osservazione particolarmente interessante
per cogliere ciò che sta accadendo nelle metropoli contemporanee. Così,
la São Paulo dei miei romanzi ha molto in comune con Londra:
gentrificazione e «pulizia sociale» dei quartieri avanzano di pari
passo, l’élite politica è sempre più sorda di fronte alla sofferenza dei
diseredati, si assiste al boom dell’industria delle costruzioni e, al
contempo, ad una crisi abitativa sempre più profonda, al crollo
dell’edilizia popolare mentre gli edifici di lusso sono spesso abitati
da fantasmi. E, su tutto questo, aleggia lo spettro di una violenza
crescente, nutrita dal crimine ma anche dall’emarginazione e dalla
sofferenza.
Corruzione, criminalità, violenza, paura: i temi al
centro del suo romanzo sono gli stessi su cui ha puntato il candidato
dell’estrema destra Bolsonaro per vincere le elezioni. Avete «scritto»
lo stesso «libro», ma da punti di vista contrapposti: lei con la
consapevolezza delle diseguaglianze sociali, l’ex parà facendo appello
alla repressione…
Trovo molto interessante questo modo di guardare
al mio romanzo. In realtà, non pensavo potesse vincere proprio
Bolsonaro. Detto questo, nell’ultimo capitolo della mia trilogia
paulista, Playboy, che ho finito di scrivere da qualche mese, già prima
delle elezioni, e che uscirà nel 2019 in Gran Bretagna, c’è un
personaggio che riflette sul modo in cui le proteste di piazza contro la
presidente Dilma Rousseff e la gestione politica dell’indagine sulla
corruzione, l’operazione Lava Jato/Petrobas – utilizzata per mettere
fine alla presidenza del Pt e per ridurre Lula al silenzio -, si sono
tradotte in una generale perdita di fiducia nelle forze politiche e
negli stessi processi democratici, tale da favorire l’ascesa di un
leader populista e autoritario che guarda con nostalgia alla dittatura
che ha retto il paese fino agli anni Ottanta. Per fare una simile
previsione mi sono limitato ad immaginare i possibili sviluppi del clima
che è andato montando in Brasile negli ultimi anni. Alla luce di questo
contesto, la vittoria di Bolsonaro era certo un’ipotesi remota, ma era
pur sempre tra quelle in campo. Seppure la peggiore da ogni punto di
vista.
Oltre agli elementi che ha già indicato, a cosa attribuisce questa vittoria?
Bolsonaro
ha espresso delle posizioni aberranti su qualunque argomento – si
tratti delle donne, della comunità Lgbtq, del razzismo, dell’uso delle
armi da fuoco, della tortura, della dittatura militare brasiliana -,
ciononostante la sua popolarità è dovuta prima di tutto al fatto che è
riuscito a convincere tanta gente esasperata, una fetta molto ampia e
diversificata di elettori, che è in grado di risolvere i problemi del
crimine e della corruzione, anche se è evidente che non sarà così.
L’esito scioccante di queste elezioni è frutto di un clima di delusione e
di rabbia che è andato crescendo sempre più e che ha finito per
coinvolgere anche la sinistra, il Partito dei lavoratori di Lula e Dilma
che certo hanno fatto molto per il Brasile – e che sono stati messi
«fuori gioco» ad arte dalle già citate vicende giudiziarie – ma che agli
occhi di tanta gente non sono stati in grado di mantenere le promesse
che avevano fatto e di soddisfare le attese che ne avevano accompagnato
l’arrivo ai vertici del paese. Anche molti ex elettori del Pt hanno
votato per Bolsonaro o si sono astenuti, favorendo così nei fatti la
vittoria di quest’ultimo. Il risultato è che oggi il Brasile è un paese
sofferente, triste e diviso che è stato spinto dalla paura verso un
abisso ancora più profondo.
A proposito del suo primo romanzo sono stati chiamati in causa Don Winslow e James Ellroy, la critica è sulla strada giusta?
Sono
ovviamente entusiasta di tali immeritati paragoni, ma voglio aggiungere
che per rendere a pieno il clima e gli umori di São Paulo, oltre ad
ogni sorta di riferimento letterario e cinematografico, come Tropa de
Elite, il controverso film che ha raccontato la brutalità della Policia
Militar, mi sono ispirato ai testi di quei musicisti brasiliani che come
il rocker Cazuza, scomparso da tempo, hanno raccontato la vita di
strada, i sogni e gli incubi delle favelas.