La Stampa 3.11.18
Il caso dei migranti riportati in Slovenia
La polizia: “Agiamo seguendo le regole”
La Questura di Trieste: sono riammissioni previste dalle norme Ue. Ma è giallo sui respingimenti a catena
di Francesco Grignetti
«Nessun
respingimento irregolare alla frontiera con la Slovenia», giura il
questore di Trieste. «Tutto viene fatto secondo le regole». È
comprensibile infatti lo smarrimento del povero disgraziato che dopo
settimane di marcia nei boschi di Slovenia e Croazia, si butta tra le
braccia di un poliziotto italiano pensando di avercela fatta. Ma non è
così perché c’è l’impersonale, algido, fors’anche crudele accordo di
Schengen che stabilisce la sua sorte.
Ebbene, Schengen dice che se
un irregolare è individuato in una «fascia frontaliera» e nella
presunta «immediatezza» dell’ingresso, può essere riaccompagnato oltre
frontiera e affidato alla polizia dell’altra parte. È una procedura che
si chiama «riammissione» e sostituisce il vecchio «respingimento» di
quando esistevano le frontiere. Abolite appunto grazie a Schengen.
È
quanto accade quotidianamente al confine con la Slovenia, come anche
con l’Austria e la Francia. A regolare queste «riammissioni» ci sono
alcune circolari della Ue che fissano lo spazio e il tempo: per fascia
frontaliera s’intende un corridoio di 150 metri da una parte e
dell’altra della linea di confine, per fascia temporale s’intende un
massimo di 2 ore. C’è poi un accordo bilaterale italo-sloveno firmato a
Roma il 3 settembre 1996, entrato in vigore dal 1° settembre 1997, più
estensivo quanto a territorio e orari. Secondo quest’accordo, può essere
«riammesso» (e succede ormai massicciamente da quando si sono
intensificati gli arrivi dalla rotta balcanica e ci sono molte più
pattuglie a controllare il confine, comprese la guardie forestali
mobilitate dal governatore Massimiliano Fedriga) chi non ha richiesto
l’asilo politico.
Il database nazionale
In ogni caso, dato
che la polizia slovena non è felice di riprendersi i clandestini,
l’intera procedura viene documentata (e secondo la questura ciò avviene
alla presenza di interpreti, ma chissà se questo avviene davvero a ogni
ora del giorno e della notte) per essere poi condivisa con i colleghi
d’oltre frontiera. Agli stranieri vengono prese le impronte digitali,
che si confrontano con il database nazionale e quello cosiddetto Eurodac
per verificare se la persona non sia stata già fotosegnalata in
Slovenia, Croazia o Grecia. Nel secondo caso, la procedura è più lunga e
complessa. E se mai nessun poliziotto di altri Paesi li ha
identificati, paradossalmente la procedura è più spiccia. I minori
stranieri non vengono riammessi, ma affidati ad apposite strutture di
accoglienza italiane, e così le persone particolarmente malate.
Diverso
ancora è il caso di chi è sbarcato in uno hotspot in Grecia. Oppure di
chi ha presentato domanda di asilo politico in un Paese della Ue e poi
si presenta alla nostra frontiera: una selva di situazioni giuridiche
diverse che agli occhi del migrante, proveniente da Paesi immensamente
lontani, rappresenta un’incomprensibile roulette russa. E che magari
interpreta come il capriccio del poliziotto che ha davanti. Tocca
comunque agli sloveni accettarli. Perciò gli italiani devono documentare
con scontrini, biglietti di treno, qualsiasi prova, l’immediatezza
dell’ingresso in Italia. Quindi, se arriva il via libera, rigorosamente
entro le ore 16 perché dopo gli sloveni non ci stanno, gli stranieri
vengono consegnati «esclusivamente con mezzi con i colori d’istituto
della Polizia di Stato» presso la stazione di polizia Krvavi Potoc
(Pesek).
Le accuse contro Zagabria
Quel che accade da quel
momento, lo sanno solo gli sloveni ma è immaginabile che abbiano accordi
diretti con la polizia croata. E nessuno dubita che sia un circuito
infernale per il disgraziato che vi finisce dentro. Pochissimi sono i
diritti riconosciuti ai migranti, specie da parte croata. L’ultimo
Rapporto di Amnesty International ci ricorda che «la Croazia ha
continuato a rimandare in Serbia rifugiati e migranti entrati nel Paese
irregolarmente, senza garantire loro l’accesso a un’effettiva procedura
per la determinazione del diritto d’asilo. Durante i respingimenti,
talvolta anche dall’interno del territorio croato, la polizia è ricorsa
regolarmente a coercizione, intimidazione, confisca o distruzione di
oggetti personali di valore e uso sproporzionato della forza».