La Stampa 30.11.18
I media egiziani censurano i sette indagati
Il silenzio descrive l’irritazione del regime
di Francesca Paci
Nella
loquace Cairo tutto tace. «Ma veramente la Procura di Roma ha preso una
linea così dura? Non ne sapevo proprio niente, qui non c’è alcuna
reazione» ammette al telefono un impiegato statale che lavora nel
settore economico.
A eccezione della foto di mercoledì sera con i
due procuratori che si stringono la mano e il comunicato congiunto sulla
rinnovata collaborazione tra Egitto e Italia non c’è nulla sui media in
arabo, nulla sui social vicini al regime, nulla sulle tv governative né
sulle quelle private ormai quasi tutte di proprietà del Golfo. Nessun
accenno ai sette ufficiali iscritti nel registro degli indagati da Roma e
neppure alle parole dure del presidente della Camera Fico: a sentire le
fonti ufficiali egiziane pare che sul caso del sequestro e
dell’omicidio di Regeni non ci siano divergenze, si continua a lavorare
insieme.
La notizia in realtà al Cairo è arrivata eccome. E non
solo perché due giorni fa gli inquirenti italiani hanno comunicato
esplicitamente ai colleghi la loro decisione di andare avanti anche da
soli. La notizia si trova cercando negli ultimi siti residui di
un’opposizione azzittita, MadaMasr, Watan, Rasd, tra i servizi di al
Jazeera, nei blog in cui si associa l’assassinio di Giulio Regeni a
quello dell’oppositore saudita Khashoggi, attribuito al principe
Mohammed bin Salman, reduce da una visita diplomatica all’alleato al
Sisi.
L’impressione in Egitto è che silenzio e indifferenza siano
invece «assai eloquenti», che rivelino «un’irritazione» del regime
profonda quanto inesprimibile a meno di strappare. E strappare non
conviene a nessuno. Perché negli ultimi tempi la collaborazione
geopolitica tra il Cairo e Roma è stata inversamente proporzionale a
quella delle rispettive Procure su Regeni: ossia, molto intensa. C’è in
ballo il dossier immigrazione, con un esercito di decine di migliaia di
disperati fermi in Egitto ma pronti ad ingrossare le fila di quelli che
già s’imbarcano dalla Tunisia e dalla Libia. C’è la Libia per l’appunto,
la cui Conferenza di Palermo ha incassato la stretta di mano con il
generale Haftar grazie alla presenza e ai buoni uffici del presidente al
Sisi. C’è il mutuo interesse economico rispetto al quale si registra
anche la preoccupazione dell’Eni, il gruppo italiano con le maggiori
attività in Egitto, per la situazione di tensione che si sta creando tra
i due Paesi.
«Dietro la noncuranza ostentata c’è preoccupazione,
allarme» si lascia sfuggire una fonte diplomatica da cui si capisce che
al Cairo non è sfuggita neppure una virgola di quanto annunciato dalla
Procura di Roma e, di conseguenza, da Roberto Fico.