il manifesto 30.11.18
Una svolta per la verità
Giulio
Regeni. silenzi di tre governi, quelli a guida Pd di Matteo Renzi e poi
di Gentiloni, e quello attuale gialloverde di Giuseppe Conte - non a
caso contrariato dalla decisione coraggiosa di Fico - ha davvero il
sapore di rottura per una svolta di verità
di Tommaso Di Francesco
Il
presidente della camera Roberto Fico ha annunciato ieri l’interruzione
delle relazioni diplomatiche tra i parlamenti italiano ed egiziano fino a
una svolta vera nell’inchiesta sull’omicidio del ricercatore italiano
Giulio Regeni; definendo poi «atto coraggioso» l’iscrizione nel registro
degli indagati di 7 agenti dei servizi segreti egiziani da parte della
Procura di Roma. Sarà pure un atto simbolico, ma a fronte di troppe
menzogne e silenzi di tre governi, quelli a guida Pd di Matteo Renzi e
poi di Gentiloni, e quello attuale gialloverde di Giuseppe Conte – non a
caso contrariato dalla decisione coraggiosa di Fico – ha davvero il
sapore di rottura per una svolta di verità.
Con la quale Fico ha
mantenuto la promessa d’impegno fatta alla famiglia Regeni. Perché
finora dalle sedi del potere nulla era ed è venuto. E poi basta con la
grande ipocrisia di chi, nei giornali, tace che Renzi è stato lo
sdoganatore del golpista Al Sisi, diventato l’interlocutore della
politica estera italiana; e tale è rimasto anche con il «nuovo» governo
dei due populismi, giustizialista del M5s e razzista di Salvini. E che,
nonostante le promesse di Di Maio al Cairo, continua a considerare il
regime di al Sisi il referente della crisi in Libia, della strategia
energetica e grande piazza d’affari del nostro export milionario di
armi. Un regime responsabile della morte del ricercatore italiano, come
di migliaia di oppositori egiziani, che ha la faccia tosta di
dichiarare: «Regeni, uno di noi».
Dopo quasi tre anni dal suo
assassinio, nessuna verità è mai arrivata dall’Egitto. In queste ore il
procuratore di Roma Colaiocco ha constatato di persona che la
«disponibilità» delle autorità giudiziarie egiziane è pura formalità:
nessuna prova è stata consegnata e addirittura gli attesi referti video
risultano contraffatti. Così sarà l’Italia ad aprire l’iscrizione del
registro dei primi sette indagati del crimine. Sarà la manovalanza del
sequestro, delle torture e dell’omicidio, non certo chi l’ha ordinato,
come il ministro degli interni Ghaffar, il capo torturatore di Giza
Shalaby, il generale-spione Hegay e in primis il presidente Al Sisi.
Un’altra iniziativa «simbolica» ma capace di dimostrare che dai sicari
si può risalire alla piramide dei mandanti.