La Stampa 27.11.18
Se l’avversione per i migranti porta a bandire la lingua araba dagli ospedali
di Vladimiro Zagrebelsky
La
pacchia è finita. Quando l’ha annunciato il ministro dell’Interno m’era
parsa una sua stentorea battuta un po’ disumana e piena di disprezzo,
ma tutto sommato spiegabile con la continua voglia di far parlare di sé.
E invece era l’annuncio di un programma di azione. Voleva dire:
renderemo la vita dura ai migranti, più dura. La linea era così
tracciata. Ci è voluta qualche settimana perché il messaggio arrivasse
in periferia e qualcuno passasse all’azione. È così avvenuto che un
consigliere della Lega abbia presentato in Regione Emilia Romagna la
proposta di eliminare le indicazioni in lingua araba che talora
affiancano quelle in italiano e inglese negli ospedali regionali.
Naturalmente la motivazione avanzata non menziona un’intenzione
discriminatoria, ma ha il coraggio di sottolineare invece il valore
della lingua inglese come fattore di integrazione dei migranti nella
società italiana. Insomma, i poveretti che vagano nei corridoi degli
ospedali alla ricerca dell’ambulatorio ove hanno appuntamento o del
letto del parente ricoverato, invece di essere facilitati da indicazioni
nella loro lingua, sarebbe bene studiassero l’inglese. Che il parlare
inglese sia fattore di integrazione nella società italiana è
naturalmente una invenzione, data la notoria debolezza del nostro Paese
sul piano dell’uso delle lingue straniere. In ogni caso è da segnalare a
quel consigliere regionale che sui treni Frecciarossa le informazioni
vengono date anche in cinese: un gesto di accoglienza, che però non
stimola all’integrazione! Ma ciò che qui interessa dell’iniziativa
leghista è l’indicazione politica discriminatoria che esprime. Si tratta
della discriminazione indiretta: l’assenza delle indicazioni in arabo
riguarda tutti, ma colpisce solo alcuni, quei tanti che ricorrono agli
ospedali pubblici e che parlano e leggono l’arabo, non conoscendo o non
conoscendo abbastanza l’italiano o l’inglese. L’arabo è la lingua
parlata da gran parte dei migranti in Italia. E soprattutto le donne
spesso parlano solo quella.
Come è noto il diritto fondamentale
alla salute spetta a tutti, anche se per l’accesso al Servizio Sanitario
Nazionale esiste qualche limitazione per lo straniero. E uno dei
caratteri che deve avere il servizio pubblico sanitario è la sua
accessibilità. L’esempio più facile è quello dell’obbligo di eliminare
anche negli ospedali le barriere architettoniche che impediscono la
mobilità dei disabili. Ma altrettanto grave può essere l’effetto
escludente della non conoscenza della lingua in cui le informazioni
vengono date. Il negare la facilitazione all’accesso con l’eliminazione
dei cartelli indicatori nella lingua di una parte rilevante delle
persone che si recano in ospedale porta a negare quello che, anche sul
piano della definizione internazionale del diritto alla salute, è un
obbligo dello Stato. Tanto più grave in questo caso perché non si tratta
di discutere se mettere cartelli anche in arabo (costi, fattibilità,
ecc.), ma addirittura di prendere l’iniziativa di togliere quelli che ci
sono già.
Purtroppo la proposta del consigliere leghista è
effetto delle indicazioni che vengono dall’alto e dell’aria che tira,
insofferente, più o meno scopertamente persecutoria, critica e irridente
verso preti e laici che si fanno carico delle necessità dei migranti.
Ma tra i tanti segni questa volta ciò che colpisce è la speciale
cattiveria. L’obiettivo è povera gente che si reca in ospedale.