lunedì 26 novembre 2018

La Stampa 26.11.18
Marco Bellocchio su Bertolucci: “Il suo andare all’estremo per me fu scioccante”
Il film di Bertolucci torna in sala restauratoIl restauro del capolavoro del 1972 è stato realizzato da CSC-Cineteca Nazionale in collaborazione con Grimaldi Film Productions e Metro-Goldwyn-Mayer Studios

https://www.lastampa.it/2018/04/23/spettacoli/bellocchio-commenta-ultimo-tanto-a-parigi-u7mfdfkdjfxdgllWvALcyO/pagina.html


Repubblica 26.11.18
L’analisi
Il padrone della destra
di Piero Ignazi


Giorno dopo giorno, si avvicina la prospettiva di un governo Salvini. Non un classico governo di coalizione, bensì un governo dominato numericamente, culturalmente e politicamente dalla nuova Lega salviniana, il corrispettivo italiano del lepenismo francese e dell’illiberalismo di Orbán, passando per "l’amico Putin". Silvio Berlusconi e i pochi che ancora, per poco, gli restano fedeli non contano più nulla. Possono solo fare da paggetti per il nuovo dominus della destra, nazionalista e identitaria, populista e xenofoba. Il recentissimo afflato filo-europeo dei berlusconiani non è altro che un tentativo di distinguersi dall’ex alleato, ma suona falso come l’ottone a chi ha un minimo di memoria e ricorda la forsennata, decennale, campagna contro " l’euro di Prodi" e le intemerate sulla congiura di Bruxelles contro il governo di centrodestra nella terribile estate del 2011; e soprattutto suona fastidioso alle orecchie del suo elettorato che ha sempre condiviso con la Lega uno stesso sentimento euroscettico. In realtà Salvini offre a quel nazionalismo da operetta ( un leitmotiv della cultura politica italiana, purtroppo) quella voce stentorea che ora il leader di Forza Italia non riesce più a modulare.
Siamo di fronte ad una disvelazione di sentimenti che già percorrevano la società italiana, e che solo quel tipico atteggiamento tartufesco del dico ma non dico che ha fatto la fortuna dell’arcitaliano Cavaliere lasciavano nei fondali della politica. La differenza sta nel pelo ispido del giovane lupo da cui promanano, naturaliter, parole dure, corrosive, aspre. E violente. Il linguaggio della Lega è tutto intriso di aggressività, di contrapposizione assoluta, di disprezzo per le diversità, con una visione darwiniana di lotta per la sopravvivenza e di difesa tribale della comunità e dei confini. Non c’è posto per chi affida la propria vita ai barconi. Che affoghino pure. L’importante è che il sacro suolo della patria non venga contaminato dalla loro presenza.
Vae victis potrebbe essere il motto del Brenno padano sceso a Roma.
Ora, nonostante tutto questo, buona parte della classe dirigente italiana si acconcia ad accettare la prospettiva di un governo dominato da Salvini. In fondo, si dice, meglio costoro che poi governano città e regioni con risultati, in alcuni casi, non disprezzabili, piuttosto che lasciare il paese in mano ai 5stelle. Ancora una volta, come nel 1922, mutatis mutandis, la classe dirigente pensa di poter gestire (con profitto) forze estremiste. Sembra non capisca che lasciare mano libera alla Lega significa indirizzare l’Italia verso la deriva populista dei leader nazionalisti e illiberali dell’Europa orientale. Ed è poi straordinario che la simpatia della borghesia italiana vada tutta verso questo movimento anti- moderno e regressivo disdegnando e irridendo l’altro partner di governo che, per quanto pasticcione e incompetente, e con la sua notevole dose di arroganza, non nasce dai riti del dio Po, né predica la cancellazione dei diritti civili con il rosario in mano, e nemmeno auspica di prendere a cannonate i migranti. Non si tratta di preferire l’uno all’altro ma di constatare che mentre la Lega ha la testa rivolta al passato con una visione del mondo tribalista, chiusa e autoritaria, i 5Stelle sono nati guardando al domani, ad un ecosistema sempre più fragile con connesse migrazioni di massa, ad un mondo senza confini e interconnesso, ad una società governata dall’intelligenza artificiale dove il lavoro, anche nei servizi, si ridurrà a velocità impressionante (si veda in proposito il recente saggio di Richard Baldwin, "Il futuro della globalizzazione"). Le soluzioni proposte dai pentastellati sono, per essere benevoli, semplicistiche e ingenue, rispetto alla complessità dei problemi, e scontano una impreparazione catastrofica a ruoli di governo; ma le sfide a cui dare una risposta sono quelle.
Eppure la classe dirigente sceglie spassionatamente una formazione di destra populista ed estrema, timorosa del futuro e del mondo esterno; forse perché, qui ed ora, essa le garantisce ampie dosi di impunità per i suoi affari, senza quelle sciocchezze di vincoli morali o ambientali (tanto un bel condono o una bella prescrizione prima o poi arrivano). Proprio come scriveva un tempo Giorgio Bocca. Non vede, o non gli interessa, dove ci vuole portare Salvini: sulle rive del lago Balaton, prima tappa per arrivare a Mosca. Che la classe dirigente se ne renda conto.

Il Fatto 26.11.18
“Salvini, occhio: chi è troppo in tv rischia la fine di Renzi”
Giorgia Meloni - “Destra viva e vegeta: i nostri valori sono la famiglia, la patria, il sovranismo e i nomadi che devono nomadare”
di Antonello Caporale


Sono un Capricorno ascendente Leone.
E quindi?
Rigida, troppo rigida. Entro sempre nel merito, e a volte per approfondire risulto noiosa. Mi informo.
Se ho bisogno di avere ragguagli chiedo a chi ne sa più di me. Ho un grande rispetto per la competenza.
“O parmigiano, portami via”. Suoi i testi e le note?
Ah, la foto che ho fatto tra le colonne d’Ercole del parmigiano reggiano. Ne è nato quasi un tumulto, tutti ad accusarmi di voler irridere alla resistenza. Ma che sciocchezza.
O parmigianoooo.
Mi sembrava spiritosa l’assonanza, nessun intento di provocare la polemica politica. Giorgia Meloni sa cosa sono gli ideali ed è rispettosa di tutti, anche di coloro che stanno sul fronte opposto.
É rigida ma spiritosa, entra sempre nel merito delle questioni ma poi rielabora per assonanza l’inno partigiano con la bontà del parmigiano.
Sui social non si possono sempre imporre temi sui massimi sistemi. Sono luoghi frequentati da gente che ha anche altri interessi. Per coinvolgere non si può discettare della legge di bilancio o del sovranismo. A volte una foto può imporre una discussione. Visti i risultati, l’attenzione che ne è nata, mi pare che l’obiettivo sia stato raggiunto.
Si è fatta riprendere alla guida di una ruspetta, che è la macchina delle meraviglie grazie alla quale Matteo Salvini spianerà i rom e i loro campi.
Quella è autoironia. Sono piccola e adeguata a una mini ruspa.
Una mini Salvini.
Matteo ha grandissime qualità. Molto diretto, disinvolto, veloce, semplificatore. Forse un po’ troppo.
Gli italiani amano chi gli risolve i problemi in un pomeriggio.
Ritorniamo alle mie caratteristiche di base. Approfondisco una questione, se ne parlo è perché l’ho compresa, la padroneggio. So che è un mio deficit.
La ruspetta se la poteva risparmiare, però.
Era un modo per giocare, per alleggerire. Come le dicevo…
Sui nomadi lei è un’autorità.
I nomadi devono nomadare.
Nomadare, già.
Un verbo che è entrato nel lessico. L’ho detto e lo ripeto. Se affermi che sei nomade devi camminare, mai fermarti, appisolarti per anni nei campi che ti mettono a disposizione i Comuni. Se invece accetti di essere stanziale ti metti in fila come tutti, segui le regole, avanzi i diritti e onori i doveri che ciascun cittadino è tenuto a osservare. Invece a Roma abbiamo il mental coach, una figura che le istituzioni pagano per illustrare le regole di vita, spiegare al nomade quel che si fa o non si fa. Secondo lei è normale?
Salvini con la ruspa ha sbancato.
Le ragioni della vittoria della Lega sono altre. Certo, ha conquistato il suo colloquio diretto con gli italiani, la forza semplificativa, l’empatia. Anche la disinvoltura, a volte l’approssimazione…
A voi del centrodestra vi sta riducendo a pane e acqua.
I rapporti di forza sono quelli che sono ma, se permette, le faccio notare che in cinque anni ho portato in Parlamento cinquanta tra deputati e senatori. Partendo da zero, con le finanze equivalenti a quelli di una media campagna elettorale di un consigliere regionale. La Lega invece aveva tre regioni, una struttura, un’organizzazione, una burocrazia di tutto rispetto. Sto costruendo per le Europee un movimento che di qui a breve potrebbe essere la proposta più credibile per gli Italiani. Sono tante le realtà che si stanno federando e che mi hanno chiesto di guidarle. Obiettivo è far sì che il consenso che viene attribuito a me sia finalmente anche quello del mio partito.
Resta l’impressione che Fratelli d’Italia sia un partito superfluo, inutile, oramai sussunto nella cintura leghista, molto spinta a destra.
Piano con queste impressioni. Le analisi della vigilia spesso si sono rivelate fallaci. Le ricordo che secondo gli analisti io, nella corsa a sindaco di Roma, sarei dovuta arrivare per ultima, doppiata persino da Alfio Marchini. Ricorda? E invece le impressioni sono rimaste tali. Ho mancato il ballottaggio per un soffio. Del mio partito, di quel che ci aspetta, si parla con troppa disinvoltura. La destra è viva è vegeta.
“Me ne frego”, “Io non mollo”. Salvini vi ruba anche gli slogan.
L’avessi detto io, dalli alla fascista! A lui, che mi pare abbia frequentato in gioventù i comunisti padani, si concede.
Lui è al governo e ha il vento in poppa. Ambito da tv e giornali, re dei social, selfista di prima grandezza.
La televisione ha ucciso Renzi. Sbucava a ogni ora del giorno e della notte, poi gli italiani si sono stufati.
Gli italiani adorano il vincente. Per lei la strada è tutta in salita.
Me ne sono accorta, ma la legislatura è appena iniziata e a vedere i primi risultati non è che questo governo sia in una forma smagliante.
Dovevate entrare anche voi ma Di Maio disse: mai con la destra.
Rido.
Contenta che le lo cose non girino a meraviglia.
Mai contenta se le cose girano male per l’Italia. Ma sembrano agire senza una visione, una idea di fondo. Certo, sono alla prima prova e le ingenuità bisogna metterle nel conto. Anche la sfrontatezza, persino un po’ di improvvisazione. Quando però le dosi si fanno eccessive, quando l’impronta del governo sembra figlia del nulla, i guai però arrivano.
Finiranno presto la corsa.
A leggere la manovra, l’orizzonte che si son dati è fino all’anno prossimo. Le risorse per i nuovi pensionati non tengono conto che dopo il 2019 c’è il 2020, e poi il 2021 e così via. Hanno fatto i conti solo con quelli di domani. E quelli di dopodomani? Dove sono le risorse? E il reddito di cittadinanza a quanta gente andrà? Un milione? E gli altri quattro milioni di poveri?
Però alle elezioni europee, il 26 maggio 2019, faranno il botto.
Noi chiediamo i voti per fare politica. Abbiamo in mente dei valori assoluti: la famiglia, la patria, l’idea di un sovranismo che non è puro slogan. Crediamo nell’Italia che produce e chiede meno tasse e burocrazia. Vogliamo la confederazione degli Stati europei, ciascuno con la propria identità. Prendiamo il global compact, lo sciagurato documento Onu che ci impedirà di difendere i confini e dire no all’invasione dall’Africa. Sa che il governo è intenzionato a firmarlo? Tanto per capire la differenza tra noi e loro.
Speriamo bene.
Speriamo sì.

Repubblica 26.11.18
A due anni dal sisma in Centro Italia
L’ultima beffa per i terremotati ora crollano anche le casette
Da Norcia a Cascia funghi, muffa e tetti sfondati: c’è chi è dovuto tornare in roulotte
di Giuliano Foschini Fabio Tonacci


Quando gli ispettori dell’Anticorruzione a metà novembre si sono presentati a Valle Castellana nel cantiere delle casette, non hanno trovato le casette. « Scusate, ma dove sono? » , hanno chiesto agli operai. «Non ci sono ancora…», è stata l’imbarazzata risposta. Due anni dopo i terremoti che hanno raso al suolo Amatrice e scavato una fossa di inagibilità nel Centro Italia, ci sono paesi dove ancora le famose casette prefabbricate — le Soluzioni abitative d’emergenza che i governi Renzi e Gentiloni avevano promesso di consegnare «nel giro di pochi mesi» — non sono arrivate. Una parte degli sfollati sono tuttora parcheggiati nelle roulotte o negli hotel sulla costa. E non è la beffa peggiore, per chi ha perso tutto per colpa di quelle scosse: esistono anche i terremotati due volte, cioè quelli che un giorno li hanno fatti entrare nelle casette e dopo qualche mese sono dovuti scappare perché sono marce. Tetti che si spezzano, pareti in cartongesso che cadono a pezzi, boiler dell’acqua che si bloccano, umidità nei pavimenti, funghi che crescono nelle stanze.
La musica non è cambiata neanche con l’attuale governo Conte. Ci sono diverse procure che stanno indagando sulla gestione dell’emergenza e della ricostruzione post- sismica nel cratere del Centro Italia: quella di Macerata ha aperto un’inchiesta per accertare se esistano gli estremi per il reato di frode in pubbliche forniture in capo al consorzio toscano Arcale, vincitore dell’appalto Consip; la direzione distrettuale antimafia di Ancona ha raccolto diverse segnalazioni di ditte impegnate nei cantieri sospettate di avere legami con le cosche o prive di certificato antimafia; l’Anac di Raffaele Cantone, che vigila sul maxi appalto Consip che nel 2015 affidò la fornitura di circa 6.000 Sae ai consorzi Cns e Arcale, in lotti da 40, 60 e 80 metri quadrati, per un costo medio di poco superiore ai mille euro al metro quadrato, che arrivava a tremila con i sottoservizi.
I prefabbricati fantasma
Camillo D’Angelo è il sindaco di Valle Castellana, un piccolo Comune nel Teramano toccato da entrambi i terremoti. Quello di Amatrice, il 24 agosto 2016. E quello dell’ottobre seguente. «Da noi non è arrivata nemmeno una casetta — si sfoga con Repubblica — Ne avevamo ordinate 40 e aspettiamo ancora: la gente è andata via per continuare a vivere, il rischio enorme è che decidano di non tornare più».
Il caso di Valle Castellana è emblematico, ma non è il solo. Stando ai dati messi a disposizione dalla Protezione civile, mancano all’appello almeno un’altra cinquantina di moduli abitativi tra Norcia, Campotosto, Crognaleto, Cagnano Amiterno. Persi nel ritardo.
Record di segnalazioni
C’è chi non è mai entrato nella casetta che gli avevano promesso e chi ne è entrato e poi uscito. A Muccia, nelle Marche, due famiglie in queste ore stanno lasciando le loro Sae perché il pavimento marcisce e sono cresciuti, oltre alla muffa, i funghi. Sulla pagina Facebook "Terremoto Centro Italia", il Coordinamento delle associazioni e dei comitati presenti nel cratere hapubblicato centinaia di foto che documentano lo scandalo. Sono in corso sopralluoghi a campione dei rappresentanti delle Regioni e del consorzio Cns, uno dei due che hanno realizzato le casette, per capire cosa sia successo: nel sito di Savelli 10 su 12 casette ispezionate avevano problemi, in un sito di Norcia 14 su 14, a Cascia 6 su 8.
Non sono solo i pavimenti a non andare bene. Altrove, il consorzio Arcale è stato costretto a intervenire per sostituire i pannelli dei tetti di 56 abitazioni, che erano praticamente crollati.
Il faro dell’Anticorruzione
Di chi è la colpa? Il procuratore di Macerata Giovanni Giorgio ha un paio di sospetti: che i materiali utilizzati non fossero conformi a quelli preventivati, e che la manodopera utilizzata non fosse qualificata. I consorzi e le aziende subappaltatrici coinvolte si difendono accusando «i tempi stretti», e spiegano che gran parte delle criticità nasce da cause incidentali o dal fatto che i pannelli di cartongesso, prima di essere montati, sono stati esposti alle intemperie. L’Anac di Cantone già da un anno e mezzo conduce ispezioni e di recente ha inviato i finanzieri a Valle Castellana per « verificare aggiudicatari e subappaltatori ». «Purtroppo — spiega Daniele Taddei, segretario della Cgil di Macerata — si tratta di un disastro annunciato: da subito erano emerse, oltre alle gravissime irregolarità delle norme sulla sicurezza nei cantieri, condizioni di lavoro tali da rendere la realizzazione delle Sae non a norma: turni di lavoro massacranti e in condizioni meteo non idonee, stoccaggio dei materiali all’aperto sotto le intemperie, una gestione vergognosa. Mi chiedo cosa accadrà nel cantiere più grande d’Europa quando partirà la ricostruzione».

Corriere 26.11.18
Progetto EastMed
Israele-Italia, via al gasdotto che cambia i rapporti di forza
di Davide Frattini


Assicura Yuval Steinitz, ministro israeliano per l’Energia, che l’accordo «servirà a contenere l’influenza araba in Europa». Ammonisce John Bolton, consigliere per la sicurezza americano, che «l’Europa non deve dipendere dai capricci russi per il fabbisogno». Perché dentro gli oltre 2 mila chilometri di tubi che verranno posati nel Mediterraneo non viaggia solo gas naturale, si muovono anche gli equilibri geostrategici e le sfide tra nazioni.
L’intesa sul gasdotto EastMed — annuncia la tv pubblica israeliana — è stata raggiunta: i tecnici hanno definito i dettagli finanziari e ingegneristici di quella che sarà la conduttura sottomarina più lunga al mondo e che dovrebbe costare 7 miliardi di dollari. Il gas estratto dai giacimenti israeliani e ciprioti nel Levante partirà dalle acque attorno a Cipro, per passare dall’isola di Creta, l’entroterra greco e approdare al largo di Otranto sulla costa pugliese.
La Commissione europea ha già speso 100 milioni di euro in studi di fattibilità e per l’Italia ci aveva messo la firma Carlo Calenda, allora ministro dello Sviluppo economico, nell’aprile del 2017. Quello era un memorandum d’intesa, la decisione di proseguire insieme nel progetto. Adesso la stretta di mano definitiva e ufficiale è prevista da qui a tre mesi. E il gasdotto che può cambiare i rapporti dell’Europa — Italia compresa — con il Medio Oriente e la Russia di Vladimir Putin dovrebbe essere pronto attorno al 2025.

Repubblica 26.11.18
A due anni dal sisma in Centro Italia
L’ultima beffa per i terremotati ora crollano anche le casette
Da Norcia a Cascia funghi, muffa e tetti sfondati: c’è chi è dovuto tornare in roulotte
di Giuliano Foschini Fabio Tonacci


Quando gli ispettori dell’Anticorruzione a metà novembre si sono presentati a Valle Castellana nel cantiere delle casette, non hanno trovato le casette. « Scusate, ma dove sono? » , hanno chiesto agli operai. «Non ci sono ancora…», è stata l’imbarazzata risposta. Due anni dopo i terremoti che hanno raso al suolo Amatrice e scavato una fossa di inagibilità nel Centro Italia, ci sono paesi dove ancora le famose casette prefabbricate — le Soluzioni abitative d’emergenza che i governi Renzi e Gentiloni avevano promesso di consegnare «nel giro di pochi mesi» — non sono arrivate. Una parte degli sfollati sono tuttora parcheggiati nelle roulotte o negli hotel sulla costa. E non è la beffa peggiore, per chi ha perso tutto per colpa di quelle scosse: esistono anche i terremotati due volte, cioè quelli che un giorno li hanno fatti entrare nelle casette e dopo qualche mese sono dovuti scappare perché sono marce. Tetti che si spezzano, pareti in cartongesso che cadono a pezzi, boiler dell’acqua che si bloccano, umidità nei pavimenti, funghi che crescono nelle stanze.
La musica non è cambiata neanche con l’attuale governo Conte. Ci sono diverse procure che stanno indagando sulla gestione dell’emergenza e della ricostruzione post- sismica nel cratere del Centro Italia: quella di Macerata ha aperto un’inchiesta per accertare se esistano gli estremi per il reato di frode in pubbliche forniture in capo al consorzio toscano Arcale, vincitore dell’appalto Consip; la direzione distrettuale antimafia di Ancona ha raccolto diverse segnalazioni di ditte impegnate nei cantieri sospettate di avere legami con le cosche o prive di certificato antimafia; l’Anac di Raffaele Cantone, che vigila sul maxi appalto Consip che nel 2015 affidò la fornitura di circa 6.000 Sae ai consorzi Cns e Arcale, in lotti da 40, 60 e 80 metri quadrati, per un costo medio di poco superiore ai mille euro al metro quadrato, che arrivava a tremila con i sottoservizi.
I prefabbricati fantasma
Camillo D’Angelo è il sindaco di Valle Castellana, un piccolo Comune nel Teramano toccato da entrambi i terremoti. Quello di Amatrice, il 24 agosto 2016. E quello dell’ottobre seguente. «Da noi non è arrivata nemmeno una casetta — si sfoga con Repubblica — Ne avevamo ordinate 40 e aspettiamo ancora: la gente è andata via per continuare a vivere, il rischio enorme è che decidano di non tornare più».
Il caso di Valle Castellana è emblematico, ma non è il solo. Stando ai dati messi a disposizione dalla Protezione civile, mancano all’appello almeno un’altra cinquantina di moduli abitativi tra Norcia, Campotosto, Crognaleto, Cagnano Amiterno. Persi nel ritardo.
Record di segnalazioni
C’è chi non è mai entrato nella casetta che gli avevano promesso e chi ne è entrato e poi uscito. A Muccia, nelle Marche, due famiglie in queste ore stanno lasciando le loro Sae perché il pavimento marcisce e sono cresciuti, oltre alla muffa, i funghi. Sulla pagina Facebook "Terremoto Centro Italia", il Coordinamento delle associazioni e dei comitati presenti nel cratere hapubblicato centinaia di foto che documentano lo scandalo. Sono in corso sopralluoghi a campione dei rappresentanti delle Regioni e del consorzio Cns, uno dei due che hanno realizzato le casette, per capire cosa sia successo: nel sito di Savelli 10 su 12 casette ispezionate avevano problemi, in un sito di Norcia 14 su 14, a Cascia 6 su 8.
Non sono solo i pavimenti a non andare bene. Altrove, il consorzio Arcale è stato costretto a intervenire per sostituire i pannelli dei tetti di 56 abitazioni, che erano praticamente crollati.
Il faro dell’Anticorruzione
Di chi è la colpa? Il procuratore di Macerata Giovanni Giorgio ha un paio di sospetti: che i materiali utilizzati non fossero conformi a quelli preventivati, e che la manodopera utilizzata non fosse qualificata. I consorzi e le aziende subappaltatrici coinvolte si difendono accusando «i tempi stretti», e spiegano che gran parte delle criticità nasce da cause incidentali o dal fatto che i pannelli di cartongesso, prima di essere montati, sono stati esposti alle intemperie. L’Anac di Cantone già da un anno e mezzo conduce ispezioni e di recente ha inviato i finanzieri a Valle Castellana per « verificare aggiudicatari e subappaltatori ». «Purtroppo — spiega Daniele Taddei, segretario della Cgil di Macerata — si tratta di un disastro annunciato: da subito erano emerse, oltre alle gravissime irregolarità delle norme sulla sicurezza nei cantieri, condizioni di lavoro tali da rendere la realizzazione delle Sae non a norma: turni di lavoro massacranti e in condizioni meteo non idonee, stoccaggio dei materiali all’aperto sotto le intemperie, una gestione vergognosa. Mi chiedo cosa accadrà nel cantiere più grande d’Europa quando partirà la ricostruzione».

Corriere 26.11.18
Messico, Trump chiude il confine
Gas sui migranti
di Giuseppe Sarcina


Giuseppe Sarcina
Tensione e scontri al confine fra Stati Uniti e Messico. Centinaia di migranti hanno cercato di forzare i blocchi per entrare negli Usa. Le autorità statunitensi hanno chiuso tutti gli accessi. Per respingere la marcia dei migranti la polizia statunitense ha usato i gas lacrimogeni.


WASHINGTON Scontri alla frontiera di Tijuana. Circa 500 migranti hanno provato a fare breccia nel filo spinato sul confine: la polizia americana ha subito reagito lanciando lacrimogeni e chiudendo alcuni valichi di confine. Sono seguiti momenti di panico e grande confusione.
Il tentativo di sfondamento è cominciato domenica mattina. A ridosso delle barriere sono accampati da giorni circa 5 mila persone: è una parte consistente della carovana partita dall’Honduras che ha attraversato il Messico a piedi o con passaggi su camion e bus. Dall’altra parte sono schierati circa 9 mila soldati americani, inviati prima delle elezioni di midterm da Donald Trump con compiti di sostegno alla Border Patrol.
Ieri mattina un gruppo di profughi ha spezzato la situazione di stallo. L’occasione è stata una manifestazione pacifica organizzata sulla strada tra Tijuana e San Diego. A un certo punto uno spezzone del corteo ha puntato direttamente verso le protezioni metalliche, riuscendo a trovare un varco. «Alcuni migranti hanno cercato di entrare in modo violento nel territorio americano», ha detto il ministro messicano dell’Interno, Alfonso Navarrete, aggiungendo: «Siamo pronti ad agire; li identificheremo e poi procederemo alla loro espulsione. Non si aiuta così la carovana, anzi si fa soltanto danni».
In realtà, stando alle testimonianze diffuse dalle agenzie di stampa interazionali, le forze dell’ordine messicane sono rimaste a guardare. Dall’altra parte, invece, la reazione è stata durissima, respingendo, sembra, «tutti gli intrusi». Le autorità degli Stati Uniti hanno subito interrotto il traffico regolare tra le due dogane, fermando pedoni e autoveicoli. Per il resto della giornata gli elicotteri del Pentagono hanno sorvolato la zona a bassa quota.
La tensione ora è al massimo. Trump ha più volte minacciato di sigillare completamente tutta la linea che separa gli Usa dal Messico. Nello stesso tempo, però, il Segretario di Stato Mike Pompeo, aveva fatto sapere di aver avviato «la ricerca di soluzioni condivise» con lo staff del neo eletto presidente Andres Manuel Lopez Obrador, che assumerà le funzioni il prossimo primo dicembre.


Il Fatto 26.11.18
Terrore per il ritorno dell’Unione Sovietica
Nell’enclave di Kaliningrad, a un’ora da Vilnius, i russi hanno ammassato truppe e missili. La Nato risponde con le esercitazioni. “Qui la prossima guerra”
di Michela A. G. Iaccarino


Foresta, foresta e ancora foresta. Siderale frontiera baltica. Sono ore di pioggia e di marcia. Di file di tronchi, dritti e fitti, che sembrano soldati pallidi e altissimi, pietrificati sull’attenti. Silenzio, silenzio e ancora silenzio verde che nei prossimi mesi diventerà immobile e bianco. Non si vede altro: cosa esattamente si dovrebbe scorgere all’orizzonte? “Niente, solo tutto questo”. I ragazzoni si chiamano Paulius e Thomas. “Guarda, questo può essere il prossimo confine di guerra d’Europa”.
Per nascondersi e mimetizzarsi: gli alberi della foresta sono i primi alleati in caso di guerra con la Russia. “Il popolo lituano non vi renderà l’invasione facile”. Lo pensa la maggior parte dei cittadini se gli chiedi di Mosca. È quello che pensavano probabilmente anche prima che il governo pubblicasse e diffondesse le 75 pagine di un manuale che ha fatto arrivare in ogni casa, scuola o biblioteca del Paese. Titolo: “Aktyviu veiksmu gairesm”. Ovvero “orientamenti attivi d’azione. Come prepararsi a sopravvivere ad emergenze e guerra”. Non è la prima volta che a Vilnius con le pagine di carta vogliono fermare l’invasore in arrivo da Est. Questa è solo l’edizione aggiornata dell’opuscolo di tattiche militari e guerriglia distribuito dopo l’annessione russa della Crimea nel 2014.
“Non faremo la fine di Ucraina e Crimea”
Secondo il funzionario del ministero della Difesa, Karolis Aleksa, durante un’invasione “le persone diventano un sistema d’allarme” e possono fornire informazioni cruciali: “Serve anche per spedire un messaggio alla Russia, noi lituani non finiremo gabbati come gli ucraini”. Ci sono le istruzioni per imparare a spiare, riconoscere fucili, sarvuotise tankas, carri armati e blindati russi. Poi regole base su come sopravvivere tra questa flora indomita e natura selvaggia che copre la maggior parte del territorio del Paese. Da un confine all’altro, da nord a sud, da est ad ovest, fino a quei 227 di confine russo-lituano dell’enclave armata di Kaliningrad.
Che il Cremlino abbia ammassato missili e truppe nel suo fazzoletto di terra in Europa, a un’ora da qui, è impossibile da dimenticare perché la stampa locale lo ricorda ogni giorno. Lo “scenario Crimea” ha avuto ripercussioni che hanno varcato il confine degli ucraini e qui a nord est è un incubo ad occhi aperti, che riporta a galla gli antichi spettri della russificazione cominciata oltre mezzo secolo fa. Il premier Saulius Skvernelis all’ultimo incontro con il segretario generale del Patto Atlantico Jens Stoltenberg ha discusso a metà di questo novembre della sicurezza della nazione e del dispiegamento del battaglione multinazionale Nato sul territorio. Inchini e strette di mano sono stati il ringraziamento per l’aumento dei contributi nel settore della difesa (il 2 per cento del pil) ma soprattutto per il contributo baltico alla missione militare dell’Alleanza. La Lituania è stata teatro delle ennesime esercitazioni anti-russe, le Iron Wolf, lupo di ferro 2018, che ha guidato dirigendo tredici eserciti alleati, offrendo ciò di cui abbonda “tutto questo”. Foreste: di alberi e ragazzoni.
Sono terminate anche le nuove esercitazioni nel mare norvegese contro “l’orda in arrivo dal nord”; le cifre delle Trident Juncure: 50mila soldati, oltre 50 navi, 250 aerei, 29 alleati atlantici, tra le loro bandiere sventolava il tricolore lituano. La guerra che si simula al confine russo serve per giocare a nascondino coi caccia di Mosca in cielo che violano le nuvole e lo spazio aereo sfuggendo ai radar. Parte delle manovre è avvenuta in Polonia e nelle repubbliche sorelle baltiche, che hanno fornito 5mila soldati. Cooperazione, comando congiunto, la guida è stata come sempre delle stelle e strisce Usa per rispondere “alle minacce, da qualsiasi direzione provengano”.
In periferia: “Sono stato salvato dall’Europa”
Thomas, come ancora molti qui intorno, era infarcito di nazionalismo e visioni infantili del mondo, voleva fare il militare e aveva “un’idea sbagliata, preconcetta del resto dei Paesi” lontani dal suo. Giovane adolescente ultras, era un perdigiorno di periferia finché non ha seguito un “corso di integrazione” finanziato dai fondi europei. Se l’Europa ha fatto qualcosa quassu, è stato questo. Dopo una settimana di incontri organizzati con coetanei di altri Paesi dice di essere cambiato: “I miei migliori amici erano diventati un turco e un lituano della minoranza russa. Non potevo crederci”.
La sua posizione è rara e non condivisa. La difesa e l’addestramento ad oltranza sono la nuova baltic way. La prima è quella di 30 anni fa: nel 1989 due chilometri di persone, da Vilnius, Riga fino a Tallin, si sono strette la mano per 700 chilometri per richiedere pacificamente la loro indipendenza dai sovietici. Oggi loro obiettivo è mantenerla.
La memoria collettiva della troika baltica sanguina ancora all’unisono. La vecchia cameriera bionda al bar poco lontano dalla stazione di Vilnius risponde in russo, sorride in lituano e poi continua in inglese: dopo anni di scuola e università in cirillico, è tra quelli che ha scelto di dimenticare la lingua “del vecchio invasore”, che ha il timore potrebbe tornare da un momento all’altro. La Lituania è molte cose, ma ultimamente è soprattutto questo: paura dell’orso slavo, in arrivo dalla taiga siberiana, pronto ad invadere proprio come durante il conflitto dei due blocchi. Fuori strade deserte, nelle tazze caffè amaro, la sindrome da accerchiamento è la chiacchiera tra i tavoli delle donne che ricordano quelle che chiamano le “tre guerre”, primo e secondo conflitto mondiale, e poi l’occupazione sovietica.
E c’è una micronazione anarchica e pacifista
Dal militarismo al pacifismo forzato nella patria dello scherzo. “Tutti hanno il diritto di vivere vicino al fiume Vilna e il fiume ha diritto di scorrere”. È l’articolo uno della Costituzione di Uzupio, la repubblica più piccola d’Europa, forse del mondo, che rimane sospesa in un solo chilometro quadrato, oltre il ponte del centro storico di Vilnius, patrimonio Unesco. È una beffa urbana che si prende gioco della storia, di esercitazioni e ingerenze belliche, straniere e non. La micronazione ha una sua moneta e una volta aveva anche un esercito, composto da una decina di uomini: sono stati poi tutti convertiti al “pacifismo radicale”. Nemmeno la bandiera è ordinaria: il simbolo è il palmo bucato di una mano, ma il colore cambia ad ogni stagione. Le leggi che regolano quest’enclave anarchica sono scritte sullo specchio del bar della repubblica abitata dagli artisti lituani. In visita quaggiù ci sono venuti anche il Dalai Lama e ultimamente papa Francesco. “Tutti hanno diritto all’acqua calda. A fare errori. Ad amare e non essere amati. Tutti hanno il diritto di non capire” dice la Carta del paese fondato il primo giorno d’aprile del 1997. Uzupio, o Uzupis in lituano, Zarece in russo: vuol dire sempre “oltre il fiume”.
“Attraversa il ponte e diventa te stesso”. Questa è la regola nell’unico angolo della Lituania che non aspetta la guerra. Noia baltica e alcolica, di gomiti appoggiati sui tavoli di legno. Quasi tutti sono pronti ad abbracciare il fucile contro i russi, ma non i residenti di Uzupio, tra murales e borsh, la zuppa russa. Il vecchio cameriere del bar dice che oltre ad “Hannibal Lecter, il professore di Vilnius del film Caccia a Ottobre rosso e la presidente Dalia Grubauskaite, non ci sono altri lituani famosi”. Risponde così a chi cerca il fondatore della micronazione, lo scultore Romas Vilciauskas, che ha combattuto con le sue creazioni artistiche il virulento grigiore dei casermoni sovietici che i russi costruirono qui ai tempi dell’Unione sovietica.
C’è un angelo che suona il corno in cima al colonnato, una sirena dai lineamenti isterici e un’altalena che ciondola nel nulla, tra decine di pianoforti abbandonati in ogni angolo. “Nessuno ha il diritto ad avere un progetto per l’eternità”, dice l’articolo 22. “Nessuno può dichiarare colpevole il prossimo” dice l’articolo 35. “Tutti hanno diritto a morire o avere dubbi, ma non è obbligatorio”. Se chiedi qui delle esercitazioni Nato, della “minaccia del Cremlino” sorridono tra pennelli e ninnoli zen tibetani. Gli imperativi categorici per tutti i residenti e per tutti gli europei che resistono al terzo bicchiere li hanno lasciati alla fine della carta costituzionale, dall’articolo 39 al 41. Valgono in caso di guerra e di pace: “Non sconfiggere. Non combattere. Non arrenderti”.


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