Repubblica 26.11.18
L’analisi
Il padrone della destra
di Piero Ignazi
Giorno
dopo giorno, si avvicina la prospettiva di un governo Salvini. Non un
classico governo di coalizione, bensì un governo dominato numericamente,
culturalmente e politicamente dalla nuova Lega salviniana, il
corrispettivo italiano del lepenismo francese e dell’illiberalismo di
Orbán, passando per "l’amico Putin". Silvio Berlusconi e i pochi che
ancora, per poco, gli restano fedeli non contano più nulla. Possono solo
fare da paggetti per il nuovo dominus della destra, nazionalista e
identitaria, populista e xenofoba. Il recentissimo afflato filo-europeo
dei berlusconiani non è altro che un tentativo di distinguersi dall’ex
alleato, ma suona falso come l’ottone a chi ha un minimo di memoria e
ricorda la forsennata, decennale, campagna contro " l’euro di Prodi" e
le intemerate sulla congiura di Bruxelles contro il governo di
centrodestra nella terribile estate del 2011; e soprattutto suona
fastidioso alle orecchie del suo elettorato che ha sempre condiviso con
la Lega uno stesso sentimento euroscettico. In realtà Salvini offre a
quel nazionalismo da operetta ( un leitmotiv della cultura politica
italiana, purtroppo) quella voce stentorea che ora il leader di Forza
Italia non riesce più a modulare.
Siamo di fronte ad una
disvelazione di sentimenti che già percorrevano la società italiana, e
che solo quel tipico atteggiamento tartufesco del dico ma non dico che
ha fatto la fortuna dell’arcitaliano Cavaliere lasciavano nei fondali
della politica. La differenza sta nel pelo ispido del giovane lupo da
cui promanano, naturaliter, parole dure, corrosive, aspre. E violente.
Il linguaggio della Lega è tutto intriso di aggressività, di
contrapposizione assoluta, di disprezzo per le diversità, con una
visione darwiniana di lotta per la sopravvivenza e di difesa tribale
della comunità e dei confini. Non c’è posto per chi affida la propria
vita ai barconi. Che affoghino pure. L’importante è che il sacro suolo
della patria non venga contaminato dalla loro presenza.
Vae victis potrebbe essere il motto del Brenno padano sceso a Roma.
Ora,
nonostante tutto questo, buona parte della classe dirigente italiana si
acconcia ad accettare la prospettiva di un governo dominato da Salvini.
In fondo, si dice, meglio costoro che poi governano città e regioni con
risultati, in alcuni casi, non disprezzabili, piuttosto che lasciare il
paese in mano ai 5stelle. Ancora una volta, come nel 1922, mutatis
mutandis, la classe dirigente pensa di poter gestire (con profitto)
forze estremiste. Sembra non capisca che lasciare mano libera alla Lega
significa indirizzare l’Italia verso la deriva populista dei leader
nazionalisti e illiberali dell’Europa orientale. Ed è poi straordinario
che la simpatia della borghesia italiana vada tutta verso questo
movimento anti- moderno e regressivo disdegnando e irridendo l’altro
partner di governo che, per quanto pasticcione e incompetente, e con la
sua notevole dose di arroganza, non nasce dai riti del dio Po, né
predica la cancellazione dei diritti civili con il rosario in mano, e
nemmeno auspica di prendere a cannonate i migranti. Non si tratta di
preferire l’uno all’altro ma di constatare che mentre la Lega ha la
testa rivolta al passato con una visione del mondo tribalista, chiusa e
autoritaria, i 5Stelle sono nati guardando al domani, ad un ecosistema
sempre più fragile con connesse migrazioni di massa, ad un mondo senza
confini e interconnesso, ad una società governata dall’intelligenza
artificiale dove il lavoro, anche nei servizi, si ridurrà a velocità
impressionante (si veda in proposito il recente saggio di Richard
Baldwin, "Il futuro della globalizzazione"). Le soluzioni proposte dai
pentastellati sono, per essere benevoli, semplicistiche e ingenue,
rispetto alla complessità dei problemi, e scontano una impreparazione
catastrofica a ruoli di governo; ma le sfide a cui dare una risposta
sono quelle.
Eppure la classe dirigente sceglie spassionatamente
una formazione di destra populista ed estrema, timorosa del futuro e del
mondo esterno; forse perché, qui ed ora, essa le garantisce ampie dosi
di impunità per i suoi affari, senza quelle sciocchezze di vincoli
morali o ambientali (tanto un bel condono o una bella prescrizione prima
o poi arrivano). Proprio come scriveva un tempo Giorgio Bocca. Non
vede, o non gli interessa, dove ci vuole portare Salvini: sulle rive del
lago Balaton, prima tappa per arrivare a Mosca. Che la classe dirigente
se ne renda conto.