La Stampa 22.11.18
Cambio di rotta su Venezia
Pechino vuole i container
di p. p.
Partiamo
da un cambio di rotta dei cinesi su Venezia. China communication
construction company (Cccc), quinto general contractor al mondo, con il
progetto definitivo consegnato prima dell’estate all’Autorità portuale
di Venezia, ha dichiarato che il mega terminal offshore in mezzo
all’Adriatico, a 8 miglia da Malamocco, economicamente non regge. Causa
effetti legati alle onde e al vento, secondo Cccc le banchine sarebbero
impraticabili almeno 90 giorni l’anno.
Gli studi preliminari
I
cinesi erano in gioco non solo per progettare, studi pagati con 4
milioni di fondi statali, ma anche per costruire e gestire il terminal
d’altura. E però non mollano. Hanno in pari tempo consegnato anche un
progetto preliminare per realizzare la cosiddetta «banchina alti
fondali» davanti alla bocca di porto di Malamocco. «Sono in corso le
verifiche tecniche - dice Pino Musolino, presidente dell’Autorità
portuale veneziana - per valutare l’efficacia complessiva, dal punto di
vista logistico e economico di questa infrastruttura. E in questo caso,
Cccc si candiderà a costruire e gestire l’opera, che richiede 1,3
miliardi di euro di investimenti».
Tutta da valutare la modalità
del trasporto delle merci dalle banchine «alti fondali» nelle acque
dell’Adriatico fino alle aree logistiche di Porto Marghera affacciate
alla laguna. Un andirivieni di chiatte? Un treno per merci ad alta
velocità sotto al fondale della laguna stessa? Vedremo cosa immaginerà
Cccc. Ma questa è solo una delle partite in cui operatori cinesi stanno
guardando allo scalo veneziano. «L’accordo sottoscritto con i cinesi di
Cosco - dice ancora Musolino - per me è esemplare. A me interessano i
traffici, non che i cinesi finanzino le nostre infrastrutture e caso mai
nella gestione li vedo solo in minoranza. Chiamiamola geopolitica, noi
veneziani l’abbiamo praticata per secoli controllando i traffici
marittimi nell’Adriatico e nel Mediterraneo orientale».
In
sostanza, Venezia ha un patto semplice con il Pireo: Cosco garantisce un
flusso di navi che, partendo dallo scalo greco, risalgono l’Adriatico
per avvicinare le merci alle loro destinazioni finali (evitando camion e
improbabili treni). Una sorta di gemellaggio. Naturalmente, le navi di
ultima generazione che arrivano al Pireo sono impossibilitate a entrare
in laguna: le bocche di porto legate al Mose prevedono un pescaggio di
12 metri e dunque escludono le navi portacontainer più grandi.
Il
tema dell’accessibilità nautica e il groviglio di norme e di istituzioni
preposte alla salvaguardia dell’ambiente lagunare rappresentano un
fattore di limite per le attività portuali a Venezia. Che ha nella
disponibilità di aree di grandi dimensioni e logisticamente appetibili
il proprio atout. E difatti vari sono i piani che investitori di
caratura mondiale stanno coltivando su Venezia (Porto Marghera).
Proprio
in queste ore Musolino è a Singapore per definire con la locale
Autorità portuale (Psa) le modalità della messa in gara del terminal
container gestito oggi da Vecon (emanazione di Psa). E allo stesso modo
andrà per il terminal Tiv, gestito dalla ginevrina Msc di Gianluigi
Aponte. Perché nel rinnovo delle concessioni saranno inclusi
investimenti per centinaia di milioni funzionali all’incremento dei
traffici. «Ma la partita più cospicua consiste nel recupero dei 90
ettari dell’area ex Montesindyal - dice Musolino - che può accogliere
un’area container, ma anche una piattaforma destinata all’importazione
di prodotti cinesi semi-lavorati, che dovrebbero dunque essere compiuti
in terra italiana e dare un’occupazione ai nostri giovani. Qui scatta il
valore aggiunto di area franca e di una Zes in regime fiscale e
doganale agevolato. Ne stiamo parlando con le autorità di governo cinesi
e con le loro camere di commercio»