il manifesto 22.11.18
Nel mondo dove la vita non ha valore
Al
cinema. Nelle sale il nuovo film di Edoardo De Angelis, «Il vizio della
speranza», ambientato nei luoghi della prostituzione campana
di Cristina Piccino
Maria
traffica coi corpi altrui, il business del contemporaneo, ragazze
dell’est e africane che si prostituiscono lungo la Domiziana. Quando
rimangono incinte il bimbo si vende a «brave persone» che aspettano da
secoli in lista di attesa di coronare il sogno familiare.
I figli
sono delle madri che li vogliono non solo di chi li fa ripete Maria
(Pina Turco) alle ragazze, del resto in quel pezzo di mondo vestito di
lucine e di degrado, dove i maschi sono stupratori o puttanieri e le
donne decidono e comandano solo in apparenza, la vita sembra contare
meno di niente e la speranza è diventata un vizio.
LO DICE sin dal
titolo del suo nuovo film Edoardo De Angelis, Il vizio della speranza
appunto in cui il regista di Indivisibili mette al centro lo stesso
paesaggio del film precedente, e ancora di più le figure femminili.
Quando la protagonista scopre di essere incinta pure lei la gravidanza e
il bambino per cui lotta diventano qualcos’altro. Non tanto fede che
sembra impossibile tra i crocifissi spaccati e la chiesa corrotta, forse
rivolta, o una via di resistenza, l’inizio di un mondo nuovo come vuole
il suo nome, Maria, e quel figlio arrivato chissà da dove e senza un
padre.
DE ANGELIS non ha però l’occhio e l’ispirazione per filmare
l’invisibile, quella «spiritualità» che è una delle immagini più
difficili da restituire. Cosa ci dice il suo mondo chiuso lungo l’acqua,
di neon e disperazione? Nulla di più di una cartolina, se è tutto
«vero» poco importa, perché ormai è diventato un decor obbligato e
rassicurante. Miseria funzionale alla storia, alla riconoscibilità, alle
attese. Tutto il resto non è nemmeno fuoricampo, in campo non ci entra
affatto. Quel personaggio di ragazza che cambia all’improvviso, una dura
con qualche tenerezza è tutta lì, non ha bisogno di nulla, basta il
fatto che a un certo punto sia Maria con la sua natività. Ma basta
davvero? I detour di quello che dovrebbe essere un viaggio esistenziale
si spengono nella programmaticità, la stessa di quel paesaggio senza
apocalisse se non quella imposta dalla sceneggiatura, privo di
contrasti, di confronto, di interiorità.
Che si sappia tutto non è importante, che lo si sappia rendere cinema – e racconto emozionale – invece sì.