La Stampa 21.11.18
“Per evitare questi fenomeni bisogna controllare le famiglie”
di Stefano Galeotti
«C’è
sempre un fallimento degli adulti dietro a questi episodi. Le famiglie
sono frammentate e si scordano di ascoltare i ragazzi, che sono
sottoposti senza guide a una miriade di modelli di riferimento. Se non
c’è qualcuno che mette ordine, i comportamenti aggressivi e violenti non
hanno nessun argine». Dal suo osservatorio privilegiato, Filomena
Albano, Garante per l'infanzia e l’adolescenza, prova a dare un senso ai
fatti di Varese.
Come si può spiegare tanta ferocia in ragazzi così giovani?
«In
casi come questo quello che emerge è che i responsabili non considerano
che le loro vittime sono persone come loro. La prima raccomandazione
che faccio è quella di parlare: non solo le vittime, ma anche i
testimoni devono rompere il silenzio. Il problema è che non sempre gli
adulti ascoltano».
Cosa manca ai ragazzi?
«Tutto dipende dai
modelli di riferimento scorretti che possono essere letali nel periodo
adolescenziale. In questa fase si agisce per emulazione: se i ragazzi
hanno sempre davanti agli occhi delle condotte scorrette, la rabbia
interiore rischia di non avere freni».
Un tempo il primo argine era la famiglia.
«Ora
sono sempre più minacciate e frammentate, e a volte le scelte sui figli
non si condividono più. Gli adulti sono travolti dai loro problemi e
non hanno tempo di pensare ai ragazzi».
Che ruolo ha la rete?
«Amplifica
la solitudine, particolarmente pericolosa in questa fase della vita.
Oramai i rapporti a questa età si sviluppano in gran parte su Internet. E
così le relazioni fisiche rischiano di essere scomposte».
Come si possono prevenire queste situazioni?
«Bisogna
tenere sotto controllo le famiglie in condizioni di fragilità. La
scuola poi deve intercettare questi casi, così come la comunità in sè
dovrebbe educare i ragazzi proponendo modelli di comportamento corretti.
Senza dimenticare il peso del linguaggio che utilizziamo: è
fondamentale, plasma tutto».
Come si superano questi episodi?
«La
risposta con i ragazzi non è mai la repressione. In quel periodo la
personalità è in evoluzione, non hanno capacità di interrogarsi sulle
proprie azioni. Per questo l’unica strada è quella della mediazione».