La Stampa 19.11.18
La sinistra nel vortice populista
di Franco Bruni
Si
lamenta giustamente l’assenza di vera opposizione ai gialloverdi,
puntando il dito sulle divisioni e i personalismi che bloccano il
Partito Democratico. Vanno però tenuti presenti almeno due fattori.
Primo.
La «sinistra» italiana (e non solo italiana) ha sempre sofferto la
tendenza a dividersi fra chi accetta la modernizzazione e la vuol
cavalcare in senso progressista e chi la ostacola vedendola come un
pericolo per la giustizia sociale. La divisione assume aspetti molto
diversi con passare dei decenni ma nel fondo ha qualcosa di invariante.
Dalla separazione dei comunisti dai socialisti a quella dei
socialdemocratici dai socialisti e così via, mille divorzi, fino alla
separazione fra Renzi e Bersani e oltre. Divorzi tutti diversi ma con un
tema costante. Divisioni che indeboliscono la «sinistra», cui insisto a
mettere le virgolette perché il concetto è diventato nel frattempo
sfuggente e, secondo alcuni, superato. Divisioni il cui tema comune si
può però comprendere. Soprattutto in materia economica, la
modernizzazione può essere temuta da chi nel mercato non vede
un’opportunità di crescita per tutti ma un pericolo dal quale è
difficile proteggere i più deboli. Non è facile trovare una sintesi fra i
due atteggiamenti, una sintesi che sia abbastanza unitaria da
esprimersi in un solo partito o in una stretta coalizione. Per cercare
una soluzione non serve stracciarsi le vesti facendo finta che il
problema sia trascurabile.
Secondo. La rincorsa fra la domanda e
l’offerta di populismo ha ormai dato luogo, in Italia e altrove, a un
circolo vizioso, un vortice dal quale è difficile uscire.
L’insoddisfazione di molti elettori per le difficoltà di un mondo che
cambia son state cavalcate opportunisticamente dai politici che le hanno
alimentate con semplicismi e falsità. La ricerca di consenso di breve
periodo ha indicato nemici inesistenti, incitato proteste senza proporre
soluzioni fattibili, dati per scontati rimedi controproducenti. Gli
eletti evitano la responsabilità di decisioni necessarie negando di
essere delegati a decidere, presentandosi come trasmettitori diretti di
decisioni del «popolo». Così si autoalimentano e ingigantiscono come
valanghe, soprattutto tramite i social media, narrazioni che travisano i
problemi, allontanano le soluzioni, tornano a incrementare le
insoddisfazioni e il populismo che non le risolve. È un clima
travolgente nel quale voci di opposizione ragionevole suonano strane. Un
gran numero di persone catturate dal populismo accoglie quelle voci con
l’orecchio stranito di chi vede disconosciute analisi che ritiene
ovvie. Le voci critiche cadono nel vuoto, trovano negazioni
aprioristiche, sorrisi fra l’insolente ironia e l’incredula sorpresa,
nessuna vera attenzione, l’accusa di provenire da illegittimi interessi
minacciati. È un clima dove costruire un’opposizione che abbia ascolto e
qualche successo è davvero difficile.
Nascono allora negli
oppositori opposte tentazioni. Da un lato sono attratti dall’idea di
inseguire il populismo, le sue diagnosi e le sue ricette, con diversa
etichetta. Dall’altro son tentati di aspettare, nascosti su una sorta di
litigioso Aventino, che il populismo produca il disastro che lo
seppellirà, di sottolineare i preamboli di quel disastro senza suggerire
rimedi costruttivi. L’essere accomunati da questa attesa può diventare
l’unico elemento unitario dell’opposizione dietro al quale le sue
divisioni persistono e si approfondiscono nutrendosi dell’amarezza che
nasce dall’incapacità di influire sull’evoluzione delle cose.
Comunque
si voglia affrontare questi fattori, che sterilizzano l’opposizione al
governo populista, è in primo luogo necessario riconoscerli e studiarli a
fondo.