La Stampa 18.11.18
Settant’anni fa Pci eUdi organizzarono il trasferimento da Napoli all’Emilia di 12 mila piccoli
Furono affidati a famiglie che offrivano condizioni di vita migliori. Questi sono i loro ricordi
“Così Togliatti pensava di conquistare il Sud Italia”
di F. Giu.
I
treni dei bambini furono un’idea di Togliatti, che mirava a estendere
l’azione del Pci agli strati più bassi della popolazione e si rivolgeva
al Mezzogiorno».
Giulia Buffardi, direttrice dell’Istituto campano
per la storia della Resistenza “Vera Lombardi”, come nacque la campagna
dei treni della felicità?
«Già nel ’45, alla fine della guerra,
il Pci agì per i bambini di Milano, nel ’46 toccò a Roma e Cassino e
alla fine dello stesso anno venne creato il Comitato per la salvezza dei
bambini di Napoli, presieduto da Giorgio Amendola. Il primo treno partì
nel gennaio del ’47 con destinazione Modena: all’inizio ne partiva uno
ogni 15 giorni, i bambini provenivano dai rioni più disagiati come i
quartieri Spagnoli e Sanità. L’iniziativa durò due anni e poi, con le
elezioni del ’48 e la Dc al governo, non fu più sovvenzionata».
Che ruolo ha avuto l’Unione donne italiane?
«Un
ruolo importantissimo. Furono le volontarie dell’Udi ad avvicinare al
Pci le famiglie più bisognose, andando a convincerle casa per casa a
mandare al nord i loro figli. Le parrocchie, e con loro la Dc,
osteggiavano il progetto perché si vedevano sottrarre il monopolio della
beneficenza, così mettevano in giro voci per cui i bambini sarebbero
stati fatti a pezzi e messi nel forno, che gli avrebbero tagliato le
mani o che li avrebbero mandati in Russia da dove, se mai fossero
tornati, sarebbero tornati indottrinati. Partirono anche figli di
comunisti, per dimostrare che non c’era niente da temere».
Soltanto a Napoli furono coinvolti circa dodicimila bambini. Quanto tempo trascorsero lontano da casa?
«Mediamente
quattro mesi, ma molti rimasero di più: fra le persone che ho
intervistato c’è il caso di una donna che ci restò sei anni, e quello di
un uomo che voleva essere adottato dopo un periodo di quattro anni
trascorso con una famiglia del Senese. L’adozione non fu possibile
perché la madre venne a prenderselo: il ragazzo serviva a Napoli, perché
doveva lavorare aiutandola a portare in giro il carretto della frutta».